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Villabate, soldi a usura col metodo mafioso: 10 arresti e altri 11 indagati

| Giorgia Garda | Nera e giudiziaria

Sequestrato pure un bar-tavola calda per un valore di 500 mila euro

VILLABATE, 20 settembre – All’alba di questa mattina, nell’ambito di un’operazione congiunta, i militari della Compagnia Carabinieri di Bagheria e del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza hanno tratto in arresto 10 persone, in esecuzione di un provvedimento applicativo di misura cautelare emesso su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo - Sezione territoriale di Palermo, di cui 9 in carcere e 1 agli arresti domiciliari. Altre 11 persone sono indagate a piede libero.

I militari, contestualmente, hanno proceduto al sequestro preventivo di quote di una società, un locale commerciale adibito a laboratorio e relativo terreno e un bar-tavola calda di Villabate con annesso chiosco, per un valore complessivo di circa 500.000 euro.
I reati contestati sono, a vario titolo, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al delitto di usura, usura e estorsione aggravate dalla metodologia mafiosa e trasferimento fraudolento di valori.

L’attività investigativa, iniziata nell’aprile 2018, avrebbe acclarato l’esistenza di un sodalizio dedito all’usura tra i Comuni di Bagheria, Ficarazzi e Villabate, permesso l’individuazione delle vittime, tutte in evidente stato di indigenza e in una chiara posizione di insolvenza, costrette a rivolgersi agli arrestati per poter ricevere dei prestiti con un tasso usuraio variante. Tassi che, a seconda degli episodi, variavano dal 143% annuo e raggiungevano anche il 5.400% annuo (a fronte di un prestito di 500 euro, la somma da restituire in soli 4 giorni diventava di 800 euro). Alle vittime, inoltre, la restituzione della somma di denaro prestata veniva richiesta mediante violenza o minaccia, a titolo di compendio estorsivo. Le indagini, inoltre, avrebbero consentito di accertare che le attività illecite venivano svolte con metodologia mafiosa, atteso che i sodali evidenziavano alle vittime la provenienza mafiosa del denaro oggetto di finanziamento, con il chiaro intento di incutere timore e di garantirsi la restituzione degli importi pattuiti.
L’organizzazione criminale, anche con la collaborazione di una funzionaria in servizio presso la società “Riscossione Sicilia S.p.A.” (che forniva illecitamente notizie riservate circa le posizioni debitorie di numerosi soggetti), una volta individuate le potenziali vittime, assicurava loro la possibilità di ricevere dei prestiti ai tassi usurai descritti.

L’analisi del considerevole materiale investigativo acquisito anche con articolata attività tecnica e i puntuali riscontri eseguiti dai militari, consentivano di delineare con esattezza i ruoli ricoperti da ciascuno degli indagati.

Tra i vari episodi estorsivi, in relazione ai quali il GIP ha ritenuto fondati i gravi indizi di colpevolezza, è stato documentato anche il coinvolgimento di Giuseppe Scaduto, 75 anni, già capo del mandamento di Bagheria ed all’epoca sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, il quale delegava Atanasio Alcamo, 45 anni, già imputato per 416-bis, entrambi destinatari della misura cautelare oggi eseguita. Sono, inoltre, stati oggi tratti in arresto:
DI SALVO Giovanni classe ’79, quale capo e organizzatore del sodalizio;
l’Avvocato DEL GIUDICE Alessandro cl. ‘68, in qualità di promotore e procacciatore di clienti;
NAPPINI Simone cl. ’71, per esser stato intermediario e erogatore materiale dei prestiti;
TROIA Antonino classe ’64, detto ‘Nino’,
RIELA Giovanni classe ‘73,
FOCARINO Gioacchino classe ’52, detto ‘Gino’,
SAVERINO Antonino classe ’55, detto ‘Nino’, 
FUCARINO Vincenzo classe ’47 (agli arresti domiciliari) coinvolti a vario titolo nell’associazione.

L’indagine, convenzionalmente denominata “Araldo”, è stata avviata focalizzando inizialmente l’attenzione investigativa sull’avvocato Del Giudice, pienamente inserito nel suddetto sistema di erogazione illecita di prestiti, che, in qualità di legale di un “uomo d’onore” intraneo alla famiglia mafiosa di Misilmeri, aveva assunto, ripetutamente, la veste di portavoce del proprio assistito detenuto per messaggi e direttive da veicolare fuori dall’istituto penitenziario, garantendogli la periodica comunicazione con gli altri associati e la gestione indiretta delle attività imprenditoriali, fittiziamente intestate a terzi, nelle quali aveva investito i proventi di pregresse attività delittuose.

L’attività di esecuzione, svoltasi a Palermo e provincia, ha visto l’impiego congiunto di circa 70 militari della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri.

 

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

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