
Non occorre essere dei navigati sociologi o degli esperti psicologi per capire quale sia il sentimento comune che alberga, ormai da domenica scorsa, nel cuore di ogni monrealese.
Basta un metodo antico, ma sempre efficace: quello di fare un giro per le vie cittadine e guardare in faccia i passanti. Basta solo questo. Non sarà difficile notare il senso di smarrimento, di paura, ma anche quello di rabbia, che si è impadronito di ogni componente della cittadinanza. Gli sguardi sono persi nel vuoto, gli occhi sono spenti, le persone sembrano fantasmi, come forse non si era mai visto.
Tre ragazzi, tra i migliori della nostra città, come ha osservato stamattina, non senza emozione, il sindaco Alberto Arcidiacono durante le esequie, che non ci sono più e che hanno lasciato nella disperazione le loro famiglie. Le lacrime sono sgorgate a fiumi dagli occhi di tutti. Bisognava avere un mattone al posto del cuore per non farsi coinvolgere. E chissà ancora per quanto sgorgheranno. Probabilmente fino a quando i nostri occhi avranno la capacità di produrne.
Allo stesso tempo, però, Monreale compatta nel dolore ha fatto emergere un sentimento parallelo: quello della sete di giustizia. Attenzione: nessuna eventuale condanna, pur severa, potrà mai colmare il vuoto, la voragine, che si è aperto nel cuore dei familiari, ma sapere che chi ha sparato, chi ha stroncato la vita di tre ragazzi nel fiore degli anni circola liberamente per le strade e - stando ai messaggi sinistri che circolano sui social - medita eventualmente di dare vita a nuove puntate, è una cosa che desta forti preoccupazioni e agita ancora la vita della città.
Monreale oggi è in ginocchio e Dio solo sa se, come e quando potrà rialzarsi e riprendere una vita normale, come quella che ha vissuto fino a sabato notte e che sperava di vivere in questi giorni, tradizionalmente dedicati ai festeggiamenti in onore del Patruzzu Amurusu, che certamente sulla sua croce si sarà fatto carico di questa ennesima piaga che ha colpito la nostra comunità.
Ma, a proposito di comunità: forse in questo momento drammatico, nell’ora più buia della nostra storia recente, Monreale ha dimostrato di essere una comunità. Una forte comunità. Ha dimostrato di possedere quel senso di appartenenza, quella vicinanza l’uno all’altro, che altre volte forse hanno faticato a venire fuori.
Prendiamola come l’unica cosa positiva di questa tragedia, abbracciando ancora una volta (fisicamente o idealmente) i familiari e mettendoci fraternamente l’uno accanto all’altro, prendendoci tutti per mano e cercando di trovare nell’altro ciò che all’altro ci accomuna. Se ce ne usciremo, ce ne usciremo tutti assieme.
Articoli correlati
Articoli correlati mobile
Un paese in ginocchio che chiede giustizia
Non occorre essere dei navigati sociologi o degli esperti psicologi per capire quale sia il sentimento comune che alberga, ormai da domenica scorsa, nel cuore di ogni monrealese.