Carissimo direttore,
in questo momento storico abbiamo pochi motivi per esultare o, più semplicemente, per guardare con serenità al nostro futuro e a quello delle nuove generazioni.
Le sfide che l'umanità si trova ad affrontare a causa della pandemia, delle guerre alimentate da un odio profondo tra i popoli, degli sconvolgimenti climatici, delle migrazioni, suscitano un profondo malessere, un senso di paura e di smarrimento che provoca chiusure ed egoismi ed apre scenari che possono portare all'indifferenza, alla rassegnazione, al disimpegno. Come afferma ripetutamente papa Francesco, il nostro è diventato un cammino che porta ad eclissare il volto dell'altro dal nostro orizzonte. Molti sono senza legami e senza comunità, non si legano a niente e a nessuno, solo a se stessi. Pochi avvertono l'esigenza di sentirsi parte di una comunità, di ascoltare, di tessere rapporti di reciprocità, di farsi compagni di strada, di agire in un clima di reciproca corresponsabilità e solidarietà.
In tale difficile e preoccupante contesto è richiesto un grande sforzo di volontà, un impegno in prima persona per generare una cultura piena di valori positivi ed essere costruttori di comunità di vita. Ognuno nel proprio piccolo, con gli strumenti che ha, senza presunzione, ma con decisione e umiltà, può mettere in circolo quello in cui crede e spera. A ciascuno è richiesto innanzitutto di sviluppare un senso molto forte di appartenenza, di amare fortemente il luogo in cui vive ed opera, di avere piena consapevolezza delle proprie radici e della propria identità, di pensarsi dentro un futuro da costruire insieme agli altri.
In un tempo in cui i ritmi della vita, gli impegni di lavoro, le molteplici cose da fare ci impediscono di assicurare agli altri la propria presenza, è sempre più necessario non rinchiudersi in un orizzonte ripiegato su di sé, ma provare ad offrire il proprio tempo per riscoprire la gioia dell'incontro, per conoscersi e condividere preoccupazioni ed esperienze e sperimentare che anche tra le differenze è possibile convivere.
Piuttosto che cercare rifugio in comunità virtuali, evanescenti ed immaginarie o chiuse ed esclusive dovremmo essere capaci di abbassare le barriere che artificialmente ci separano dagli altri, capaci di promuovere sempre nuovi incontri per riflettere ed ascoltare le persone più fragili, gli anziani, i giovani.
In verità non mancano nella nostra città le buone pratiche da custodire e rafforzare messe in atto da associazioni di volontariato, dalla Pro Loco, dalle parrocchie, dalla Caritas diocesana, dal Banco alimentare, dai centri aggregativi degli anziani, da altre realtà culturali e sociali, da semplici cittadini senza un'appartenenza specifica. In diverse circostanze essi hanno mostrato di saper fare comunità dando una mano a chi ha chiesto aiuto, promuovendo lezioni di lingua italiana per i ragazzi extracomunitari, fornendo indumenti o generi alimentari a coloro che si trovano in difficoltà economiche, mettendo a disposizione degli altri la propria cultura e le proprie esperienze in maniera gratuita e spontanea.
La cultura, infatti, non sta solo nei libri, nei musei, nelle biblioteche o nelle competenze degli intellettuali, ma si fa con la propria vita, con il proprio modo di comunicare, di vedere la realtà, di leggerla, di rappresentarla, di interagire con essa. Sono tante piccole azioni che non hanno nulla di eclatante, ma che molto semplicemente creano l'occasione per conoscersi e dialogare in maniera costruttiva, soddisfano il bisogno di partecipazione e di condivisione, azioni che sono alla base dell'essere comunità.
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