Carissimo direttore,
sarebbe proprio il caso di tacere di fronte ad una tragedia come quella di Paderno Dugnano che ha visto un adolescente di 17 anni, appartenente ad una famiglia agiata dell'hinterland milanese, compiere una incomprensibile strage.
Riccardo, questo il suo nome, era un ragazzo apparentemente normale ed ha detto agli inquirenti che si sentiva solo, come un estraneo nella sua famiglia e nel gruppo dei suoi coetanei ed ha pensato di liberarsi della solitudine uccidendo i suoi familiari. Una tragedia che ha suscitato sgomento e disorientamento e che, purtroppo, si ripete troppe volte come quella di Altavilla Milicia, di Giulia Cecchettin e, nei giorni scorsi, a Gela.
Non sono un sociologo né uno psicologo, ma desidero offrire una modesta riflessione alla luce della mia esperienza professionale ed anche della mia condizione di nonno di quattro adolescenti, auspicando ulteriori contributi che vorranno offrire i miei concittadini, meglio se provenienti da giovani.
Credo che tutti abbiamo potuto verificare, anche personalmente, la fatica a capirsi tra giovani ed adulti, le difficoltà che si attraversano soprattutto durante l'adolescenza, un'età in cui si ha tanta energia e vitalità e non si è più disponibili ad obbedire sempre agli adulti, ma si sente il bisogno di essere più autonomi. È un'età in cui l'adolescente, nei rapporti con i suoi coetanei, con i genitori, con la società, con i docenti e soprattutto con sé stesso cerca di delineare la propria identità. Non è attratto ancora da interessi pratici e concreti ma si muove per un ideale astratto, disincarnato dalla realtà. Sogna un futuro che spesso si rivela irraggiungibile.
Tutti abbiamo cercato e sognato modelli da seguire, nelle star della musica, dello spettacolo, dello sport, in qualche personaggio della storia. “Cosa farò e cosa sarò da grande”, si chiede ogni adolescente che oggi sogna di diventare astrofisico, domani ingegnere, dopodomani scrittore, una grande domanda alla quale non sempre trova una risposta, anzi spesso si scontra contro l'indifferenza e la mentalità degli adulti. Non tutti hanno la fortuna di avere genitori o anche docenti talmente bravi da rivestire un fondamentale ruolo educativo, adulti capaci di aiutarli a dotarsi di una forza interiore, a trovare una risposta alle loro domande di senso e di porre delle restrizioni e dei limiti se necessari.
Né si può disconoscere che a causa delle misure restrittive imposte durante la pandemia del Covid gli adolescenti sono stati privati della possibilità di interagire e socializzare con i coetanei nell'ambito scolastico, ricreativo, sportivo. Anche a causa di ciò vi sono adolescenti che non riescono a manifestare quel che hanno dentro, la loro sofferenza, il loro disagio esistenziale, un disagio che può degenerare in uno stato depressivo. Senza avere la pretesa di fornire ricette magiche ho sempre pensato che uno sguardo miope nelle possibilità dei ragazzi incide negativamente sulla loro vita, mentre avere fiducia li aiuta notevolmente.
E' assolutamente necessario porsi in ascolto dei loro disagi, “ perdere tempo con loro”, coinvolgerli e sensibilizzarli nella soluzione dei problemi, offrire come adulti un supporto concreto nella convinzione che, come afferma lo psicoterapeuta Alberto Rossetti, “ i giovani non sono una minaccia, anche se fanno di tutto per sembrarlo”. Già da alcuni anni papa Francesco ha lanciato un appello proponendo un “Patto educativo globale”. Si tratta di costruire a livello locale comunità educative autentiche capaci di coinvolgere scuole, famiglie, associazioni del territorio, parrocchie, mettendo al centro le nuove generazioni come protagoniste e cercando di individuare strategie efficaci. Un appello che, tranne in casi eccezionali, è rimasto inascoltato come tanti altri.
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