La Maga Sibilla - Seconda parte

Oggi la seconda puntata di una favola dedicata a Leonardo Sciascia

(segue) Tre mesi sarebbero volati via in fretta e a fine luglio avrebbe potuto fare ritorno al suo paese nativo. Nella sua adorata campagna monrealese avrebbe cercato d’individuare con perizia e costanza l’antro dei gattopardi, considerato che il suo nonno paterno l’aveva già localizzato in tempi non sospetti nella piccola proprietà terriera di famiglia.

Don Totò, nonno paterno ed ardito nel corpo dei bersaglieri era un “Cavaliere di Vittorio Veneto” riconosciuto con un attestato di onorificenza al valore rilasciato dall’esimio Presidente della Repubblica italiana Capo dell’Ordine di “Vittorio Veneto” (attestato del 21 marzo 1969).
Nonno-Totò, nelle noiose e calde giornate estive amava dopo cena raccontare a Peppe ed alla sorella Vanna la mitica storia della Maga Sibilla. Creava una magica atmosfera nella mitica terrazza di casa, illuminando la location con un lume a petrolio che diffondeva una luce tenue e spettrale magica. Poi cominciava la sua affabulazione, organizzando il suo soggetto narrativo e scenico con effetti speciali sorprendenti. Era uno zufolo strumento di melodia e favola. Esordiva con la moderna impostazione “C’era ed esiste ancora” una vecchia maga di nome Sibilla, il suo spettrale, terribile antro si trova nei pressi della nostra vasca d’irrigazione del terreno di nostra proprietà.

Questo maledetto antro è una grotta oscura coperta da una fitta vegetazione di olmi che la riparano e l’oscurano ai visitatori occasionali. E’ impossibile entrare nella grotta senza poteri speciali; ha un mega ingresso sbarrato da una colata di cemento, stalattiti e stalagmiti naturali. Soltanto le umili formiche potrebbero penetrare al suo interno. La Maga Sibilla custodisce i “Gattopardi”, una setta di padroni che governerà sempre la nostra terra. I Gattopardi hanno il potere di trasformarsi in uccelli, serpenti e roditori per qualunque sfida dovranno sostenere nel loro futuro. Si potrà seriamente vincere la sfida con i Gattopardi, soltanto utilizzando poteri speciali ed infernali.
Nonno Totò narrava ed io unitamente alla mia folle sorella Vanna scivolavamo nell’angoscia virulenta dell’età infantile. Andavamo a dormire terrorizzati e pregavamo l’Angelo Custode ed il Padre Celeste di concederci un buon riposo. La favola della Maga Sibilla durava un’intera estate, con aggiornamenti quotidiani e variazioni sul tema da parte del nonno Totò. Era una favola fantastica dura, amara ed irreversibile. Si poteva sognare di cambiarla! Era la favola fatale, legata alla moira di Peppe. Non mi soffermerò nel racconto stile soap opera del nonno Totò e nemmeno sui cinque lunghi anni di messa in onda della fiaba. A fine luglio, quando farò ritorno a Monreale, inizierà la mia sfida contro la maga Sibilla ed il mio tentativo titanico di sconfiggere i gattopardi. Sarà un’impresa dura, ma grazie al rubino del vecchio Matteo spero di uscire vittorioso nel mio umile, nobile tentativo di liberare la Sicilia da questi padroni mafiosi.

I mesi che seguirono, furono un turbine in accelerazione positronica rispetto alla quotidianità del giovane contadino siciliano; avvertiva il fiato sulle sue spalle robuste ed abituate alla massacrante, dura fatica nei suoi vecchi campi monrealesi e nel parco dei conti a Ferrara. Puntualmente ed in perfetto orario arrivò il 31 luglio 1928, giorno agognato del suo congedo dagli artiglieri dell’esercito italiano. Peppe si svegliò, sospirando, all’alba del nuovo giorno e cominciò a preparare i bagagli per fare ritorno a casa. A mezzogiorno di fuoco lo attendeva un treno che lo avrebbe riportato a Palermo. Era euforico e scatenato, emozionato e furioso. Alle 10 salutò tutte le maestranze del parco ed il vecchio Matteo, si recò al comando del suo battaglione artiglieria in via caracalla a Ferrara e ritirò il foglio di congedo dall’esercito italiano. Soru, il vecchio caporale pentito, lo accompagnò con una jeep del comando presso la stazione ferroviaria di Ferrara. Alle 12,30 Peppe iniziò il suo viaggio di ritorno su di un vecchio treno accelerato e scomodissimo. Per sua fortuna il treno non era affollato, ma l’aria negli scompartimenti era irrespirabile. Nella fermata obbligatoria ed infelice presso la stazione di Napoli, si verificò un grande guazzabuglio. Un assalto al treno, tipo forte apache, da parte di trecento passeggeri in viaggio verso la Sicilia. Le sardine in scatola, rappresentavano metaforicamente la condizione di viaggio su quel treno accelerato e tartaruga.
Peppe era molto scoraggiato e pessimista; non esisteva più la fisiologia e la funzionalità degli scompartimenti. Si sentiva soffocare e cedette volentieri il suo posto ad una giovane madre con tre figli. Non sapeva che pesce prendere e soluzione salutare per il suo estremo sconforto. Si ricordò, allo stremo delle forze, del suo rubino magico. Peppe si appartò per pochi secondi in un’ala del corridoio centrale del treno e tenendo tra le mani la sua pietra preziosa la strofinò tra pollice e indice, pronunziando nel suo cuore la formula magica legata al rubino: Uomo sono e colomba divento con l’agilità di sette colombe. Immediatamente Peppe si trasformò in una colomba bianca incantevole e volò sul tetto del treno, felice e radioso. Fece ritorno alla vetusta stazione ferroviaria di Palermo, fresco e radioso come una vera colomba della pace. Profferendo la formula inversa a quella mitica dello zio Matteo, ritornò un uomo comune di strada.

Raccolse i suoi bagagli dal treno accelerato e puzzolento e si avviò di corsa verso la sua Monreale, usufruendo del servizio pubblico di un tram vecchio e decelerato che lo avrebbe riportato presso la sua amatissima famiglia. Si verificò un’esplosione di festa per l’arrivo di Peppe! La mamma, si precipitò subito a spennare una gallina per cucinarla al forno unitamente a gustosissime patate e una meravigliosa teglia di sfincione siciliano. La sorella Vanna cooperò con la vecchia mamma ed insieme al vecchio padre Francesco preparò una striscia di benvenuto per il fratello in congedo definitivo dall’esercito italiano. Si celebrò una giornata della memoria per Peppe. Dopo la grande festa si appalesò il riposo del guerriero; un ultimo bicchiere di vino superlativo e poi tutti a nanna. Peppe si risvegliò alle nove del mattino del giorno seguente, ristorato e satollo, pronto ad affrontare la sua missione impossibile contro la Maga Sibilla e l’Antro dei Gattopardi.

Alle dieci, dopo essersi rasato, si avviò presso la grotta adiacente e nelle vicinanze della grande vasca d’irrigazione della sua modesta azienda agricola e piccola proprietà terriera, dove si trovava l’antro dei Gattopardi. Indossò lunghi stivali da pesca nel fiume ed una tuta mimetica ereditata dall’esercito. Colorò il suo viso con scaglie di carbone e coprì il suo capo con un cappello di paglia, intarsiato come un tavolino di legno pregiato ed abbellito con mille sfumature di colori rosso-accesi, rosa-nero, arancione-giallo. Look perfetto, ciak si gira il film fantastico di un’avventura straordinaria, dove la posta in gioco era la liberazione della Sicilia. Peppe era fuori di sé e si precipitò con estremo coraggio presso il maledetto antro dei “Gattopardi”. Era la sua fantastica e rivoluzionaria sfida alla Maga senza se e senza ma. Si accostò impaurito e con estrema prudenza all’antro ricoperto da una fittissima vegetazione naturale, impossibile da esplorare. Non sarebbero stati sufficienti cento decespugliatori e cinque pale meccaniche per aprire una porta d’ingresso. Era arrivato il momento top della sua pietra preziosa, ovvero, il rubino. Peppe strofinò tra il pollice e l’indice il suo magico rubino e pronunciò la formula magica di Matteo: “Uomo sono e formica divento con la pazienza di sette formiche”.

Nel giro di pochi secondi, si ritrovò all’interno della grotta maledetta. Si spalancò un paesaggio innevato e rigidamente siderale; negli abiti delle sette formichine, Peppe passò in rassegna bau gli angoli più segreti dell’antro. Scoprì duemila stanze segrete sbarrate al loro ingresso e trenta porte di legno colorate da un rosso acceso. Si sentiva smarrito e confuso, non sapeva che fare! Decise di portare pazienza ed aspettare l’evoluzione fisiologica degli eventi. All’improvviso, dopo un lungo boato terribile, udì una voce spettrale e cacofonica che ululava “Sento odore di carne umana, se la trovo me la mangio sana”. La spettrale maga Sibilla si era superbamente e letteralmente materializzata all’interno della grotta; era(nefastamente) di una statura sovrumana, quasi quattro metri in altezza, dotata di grandi ali, testa di toro e piedi di porco. La bocca della maga era un lanciafiamme raffinato; ad ogni parola modulata faceva seguito una grande fiammata. Peppe inorridì alla visione della maga, in cuor suo pensò ad una solenne ritirata strategica. Matteo gli suggerì di affrontare la sfida senza paure, la maga aveva il suo grande punto debole. Don Matteo imperterrito non cessava un attimo di guidare Peppe: “Pensa a Davide e Golia, non esistono nel nostro universo mostri capaci di vincere l’astuzia e l’umiltà dell’essere umano, resisti Peppe e trasformati in Aquila Reale, beccando duramente la testa del toro”. Messaggio subliminale ricevuto e Peppe si trasformò in aquila reale con la vorace rapacità di sette aquile (mega-reali).

Ebbe il suo inizio fatale, un combattimento indescrivibile, l’aquila cominciò a beccare incessantemente la testa del toro della maga, fino a procurarle un grande mancamento fisico. La maga si accasciò a terra spossata e sconfitta e Peppe da aquila reale si trasformò in Elefante, secondo i dettami della formula magica del vecchio Matteo, per disintegrarla e polverizzarla. Nei panni severi di elefante, Peppe cominciò un’opera di devastazione fisica e di duro pestaggio della Sibilla. Quando sfiorò l’idea di una seria caporetto per la maga, dovette duramente constatare che anche la maga aveva poteri speciali; la Sibilla si trasformò in colomba e volò sul suo nido del cuculo, dove abitualmente le aquile reali deponevano le loro uova doc e speciali. Era finito il primo vero round a favore di Peppe, che pago dello scontro ritornò nelle sue sembianze umane. Era curioso e fortemente motivato, voleva scoprire il segreto delle trenta porte di legno, sbarrandole una per volta. Ritornò, grazie al suo rubino, a ricoprire i panni dell’elefante incazzato e furioso.

Sfondò la prima porta di legno e scoppiò in un pianto disperato: duecento ragazze erano tenute prigioniere dietro quella porta. La prima fanciulla che uscì dalla porta era una ragazzina dodicenne, mora ed estremamente attraente; occhi castano chiari e capelli neri. Peppe si ritrasformò in uomo e si precipitò verso la ragazzina, abbracciandola e stringendola fortissimamente al cuore. La ragazzina raccontò tutta la sua vita ed il rapimento operato dalla Maga Sibilla, obtorto collo. Piangeva disperatamente e non voleva staccarsi dal tenero abbraccio di Peppe. A seguire altre 199 fanciulle bellissime, di età compresa tra i quindici ed i vent’anni di età fisiologica. Peppe non sapeva se piangere o consolarle, poi decise di adottare la linea dialogica del sano ottimismo: “Ragazze vi porterò tutte fuori da questo incantesimo maledetto e potrete incontrare i vostri cari genitori, fratelli e sorelle. Vi chiedo una sana collaborazione ma vi prometto che domani, se Dio ci assisterà, saremo fuori da questo inferno”.

Si scatenò un hurrà collettivo ed un abbraccio cosmico verso l’eroe contadino monrealese. Quella ragazzina dodicenne si chiamava Marina e sarebbe diventata la sposa fedele, amatissima di Peppe al compimento del suo diciottesimo genetliaco. Ora era venuta l’ora micidiale, fatidica di sfondare le altre ventinove porte di legno e comprendere cosa e quali sorprese riservassero. In cinque secondi, Peppe si trasformò in elefante e sfondò tutte le porte dell’antro dei “Gattopardi”. Si appalesò uno spettacolo inverosimile. Quasi seimila uomini e donne, in carne ed ossa, erano state imprigionate dalla Maga Sibilla per essere divorate. Peppe stramazzò al suolo per l’intensa emozione e la fanciullina del suo cuore lo rianimò. Si rialzò tonico e pimpante e si rivolse alla marea di persone che aveva liberato: “State tutti tranquilli, vi porterò sicuramente fuori da questa vergognosa, indecente prigionia; ci sarà un’uscita per ritornare tutti liberi e felici, la troveremo”. Quando Peppe concluse il suo discorso di speranza, all’improvviso si udì un urlo straziante: “Io conosco la via di fuga da questo antro orrido”.

L’urlo straziante era l’urlo di dolore di un povero vecchio barbone. Peppe si avvicinò al vecchietto ed abbracciandolo teneramente gli disse: “Di grazia, padre mio, rivela la via di fuga e dimmi il tuo nome senza esitazione”. Mi chiamo Leonardo e sono stato rapito con violenza dalla maga in quel di Racalmuto; stai sereno figlio adorato, ti aspettavo da tempo: “La via di fuga si trova davanti l’ingresso della prima porta che hai sfondato, attraverso questa uscita ci ritroveremo tutti liberi lungo le sponde del fiume Oreto, ora ti aspetta il difficile duello con la Maga che sta affilando le sue armi magiche e tenterà di annientarti, non ti arrendere mai! Sei stato scelto dal Padre Celeste nel ruolo di questa colossale impresa e sfida ai “Gattopardi” ed ai poteri occulti della magia. Resisti e vinceremo tutti; ricordati che l’ultima tua trasformazione sarà nelle vesti di “Aquila Reale”, dovrai volare nel finale della sfida sul nido che la maga custodisce e vigila con estrema attenzione. Nel nido troverai un uovo d’oro e tu dovrai spaccarlo in quattro parti e divorarle; l’uovo è l’anima oscura dei “Gattopardi”, non appena divorerai le quattro parti, cesserà in un fiat l’incantesimo della Maga Sibilla.

 

(segue)

 

DAL LIBRO PARAMUTIA 2017 BY SALVINO CAPUTO _(c) Copyright e Tutti i diritti riservati ISBN E SIAE