La Maga Sibilla - Prima parte

La favola è divisa in tre parti ed è dedicata a Leonardo Sciascia

Ogni sera dopo cena, mia madre e mio nonno mi chiedevano di raccontare la mia inverosimile, piccola fiaba “La Maga Sibilla” per indurre un sonno ristoratore nei loro fisici stanchi e stressati. Mi costava fatica ed improvvisazione. Ho assolto questo mio piccolo ruolo per tre anni, durante i mesi di villeggiatura estiva, in contrada Ponte Parco.

Si maturava il soul dello scrittore futuro. Ringrazio la mia “Amigdala” e la mia creatività. Adesso voglio omaggiare a tutti i miei lettori questa favola umile. “C’era una volta, in un tempo lontano e senza TV, un modestissimo contadinello che amava zappare la sua terra arida. Peppe, il nome del contadino siciliano, aveva diciassette anni e nove mesi. Era figlio unico di una modestissima famiglia di contadini senza grilli per la testa; il padre Calogero, malgrado i suoi avanzati 56 anni, continuava ad espletare il duro mestiere di zappatore instancabile. La famiglia disponeva di una piccola proprietà rurale(cinque tumoli di terreno ben coltivato ed una casetta agricola annessa al terreno). La mamma di Peppe era una bravissima e raffinata ricamatrice. La paziente signora Concetta si dannava l’anima da mattina a sera, sempre intenta a ricamare.

Era un supporto economico per la sua famiglia, dignitosa ma povera. Peppe amava tanto suonare lo zufolo (fiscalettu), uno strumento musicale a fiato simile al flauto, formato da una canna corta o da un piccolo cilindro incavato, quasi sempre di legno bosso con un taglio traverso per l’imboccatura ed alcuni ampi fori laterali. Lo zufolo si può paragonare al fischietto per il modo in cui viene suonato e per il suono propagato e di emissione. Peppe era un vero maestro dello zufolo ed incantava anche gli uccelli quando modulava le sue armonie. Tutto sommato, Peppe suonava allegramente lo zufolo nelle ore di pausa lavorativa. Accadde, che in una triste giornata d’inverno la moira del nostro destino e dei nostri appuntamenti con la vita, bussò a casa di Peppe con una missiva inequivocabile: “Chiamata alle armi, per l’espletamento del servizio militare”. Fu una botta durissima per la sua famiglia! Peppe confortò i suoi cari genitori, si preparò in gran fretta il suo spazioso zaino e non dimenticando il suo mitico preziosissimo zufolo, partì sconfortato per destinazione Ferrara. Correva beffardo l’anno 1927 ed il povero Peppe si ritrovò a Ferrara in balia di un caporale fascista, autoritario e senza regole etiche.

Considerato che Peppe era un povero terrone siciliano doc, (sarà la nostra storia eterna) venne subito discriminato e beffato. Peppe non si scoraggiò nel violento impatto con il caporale Soru. Si armò della saggia pazienza dei contadini e quotidianamente ripeté tra sé e sé: sopportiamo le persone moleste e speriamo che spariscano presto. Era saggio il nostro concittadino-eroe Peppe, non sarebbe mai caduto nella trappola della provocazione fascista vile ed autoritaria né avrebbe mai reagito alle carognate ed ai vili soprusi del caporale Soru. Ci voleva solo pazienza certosina, calma e gesso. Sarebbe arrivato il giorno della liberazione e Peppe aspettava quel giorno pregustando gioia e soddisfazione. Una domenica profetica cambiò le carte in tavola nel rapporto duro tra il capitano Mario Soru ed il giovane Peppe. Correva il 15 agosto del 1927; era una domenica caldissima estiva e i militari della dodicesima compagnia di artiglieria “Brucato” si preparavano a ricevere il mitico generale Oriana. I preparativi erano stati logoranti ed estremamente stressanti ma non c’erano alternative alla disobbedienza. L’arma di artiglieria dell’esercito italiano ebbe i suoi natali nel 1861 con decreto del ministro della guerra, generale Manfredo Fanti. Esisteva l’artiglieria da piazza e l’artiglieria da campagna, nella seconda guerra mondiale venne istituita l’artiglieria contraerea e quella controcarri. Peppe era un artigliere di campagna, coerentemente al suo ruolo di contadino duro e grande lavoratore.

Accadde che, in quella fatidica domenica estiva assolata ed afosa, il generale Oriana ebbe un mancamento e rovinò per terra stordito. Peppe si precipitò, primo tra gli artiglieri presenti, a soccorrerlo e rianimarlo, caricandolo sulle sue robuste spalle e trasportandolo in infermeria. Quando il generale Oriana si risvegliò e riprese coscienza, pretese dal caporale Soru una dettagliata analisi sull’accadimento. Soru non poté occultare il gesto generoso di Peppe e raccontò ogni secondo del malessere occorso al generale. Ebbe inizio la liberazione di Peppe! Da quel giorno Peppe divenne l’attendente fedele del generale Oriana, sempre al suo seguito e riverito come un figlio. Nel dicembre del 1927, il generale fu richiamato ad alti incarichi dal ministro della guerra e suo malgrado, tra lacrime ed amarezza, dovette salutare il povero Peppe. Prima di congedarlo, il buon generale dispose che Peppe sarebbe ritornato a Ferrara, imboscato, al servizio presso la nobilissima famiglia dei conti Finzi-Contini, una ricchissima famiglia ebrea dell’alta borghesia di Ferrara. Nella loro mitica stupenda villa c’era un parco con due campi da tennis e tanta terra da restituire alla vera fertilità e bellezza. Peppe rimase incantato alla vista di quel meraviglioso parco e giardino dell’eden. In cuor suo si prefigurava il duro lavoro che lo aspettava nei prossimi mesi, prima del suo congedo definitivo dall’esercito italiano, nel luglio del 1928. Fu accolto come un figlio dai conti e gli venne assegnato un alloggio lussuoso all’interno della villa. Peppe si rendeva conto che non avrebbe mai potuto deludere il generale Oriana ed i nobilissimi conti. Si diede dei tempi tecnici di lavoro, orari rigidi e costanti. Cominciò tosto all’alba di venerdì la sua prima giornata di lavoro.

Alle ore 13 in punto, i camerieri dei conti gli servirono un lautissimo pranzo. Si riposò fino alle 15 e poi ritornò a dissodare la dura terra nel parco. Lavorò come un matto fino alle 19,30 e poi crollò stanchissimo per la dura fatica sostenuta nel suo primo giorno di lavoro. Si ristorò con un bagno catartico e rilassante e si avviò presso il salone delle maestranze a condividere una cena energizzante e saporita. Alle ore 21,15 si appartò nella sua stanza ed abbracciò l’amico Morfeo. Alle cinque del mattino si svegliò e dopo dieci minuti si precipitò al suo duro lavoro nel parco. A mezzodì Peppe faceva una piccola pausa suonando mite il suo magico e fedelissimo zufolo. Nelle pause che seguirono nel lavoro duro di Peppe, accadde inverosimilmente che in un giorno di Marzo 1° del mese più pazzo delle stagioni, Peppe ricevette la visita di un vecchietto, capo delle maestranze della villa e del parco. < Suoni meravigliosamente il tuo zufolo, esordì il vecchietto, mi chiamo Matteo e coordino il lavoro di tutti i lavoratori addetti al parco dei conti. E’ da tre mesi che ascolto le infinite melodie che moduli con il tuo zufolo. Sono davvero estasiato ed incantato! Purtroppo a Luglio ritornerai nella tua mitica, fantastica terra di Sicilia, in quanto il tuo servizio attivo presso l’esercito italiano volgerà alla conclusione. Ti ho voluto bene dal primo giorno del tuo servizio presso il nostro parco amatissimo; sei un ragazzo onesto, meraviglioso e ricco di veri valori infiniti e profondi. Ti faccio una proposta: Regalami il tuo zufolo ed io in cambio ti regalerò una pietra preziosa che libererà la Sicilia dalla fame, dai soprusi dei padroni e dai beceri gattopardi. Ora ti spiego le funzioni e l’uso che dovrai fare della pietra, se accetterai lo scambio con il tuo zufolo celeste".

Peppe non esitò un attimo e rivolgendosi al vecchio Matteo esclamò: . Gli occhi stanchi del vecchio Matteo s’illuminarono d’immenso e di profonda gioia. Peppe, umilmente, s’inginocchiò ai piedi di Matteo ed offrì teneramente il suo zufolo. Matteo consegnò a Peppe un rubino piccolo ma di un rosso acceso come il sole all’equatore. Rito: Tutte le volte che strofinerai tra pollice e indice questa piccola pietra preziosa, accadrà l’inverosimile. In ogni caso, dopo averla strofinata dovrai formulare il tuo desiderio. La pietra esaudirà fino a sette tuoi desideri: I sette desideri vanno preceduti dalla formula magica” 1°) Uomo sono e Leone divento con la forza di sette leoni 2°) Uomo sono e Colomba divento con l’agilità di sette colombe 3°) Uomo sono e serpente divento con il veleno di sette serpenti 4°) Uomo sono e formica divento con la pazienza di sette formiche 5°) Uomo sono ed aquila divento con la rapacità di sette aquile 6°) Uomo sono ed elefante divento con la violenza di sette elefanti 7°) Uomo sono e pantera divento con la ferocia di sette pantere. Ecco la tua pietra ok. Custodiscila gelosamente e ricorda il rituale della formula. Ti ricordo che non potrai cedere a nessuno la tua pietra preziosa né i suoi poteri magici. In bocca al lupo e libera la tua Sicilia! Peppe abbracciò il vecchio Matteo e proruppe in un pianto liberatorio. Era un addio romantico e fortemente nostalgico. Liberare la Sicilia dai gattopardi divenne il suo chiodo fisso; trepidava alla grande idea del suo ritorno a Monreale, sua città natale.

(segue)

 

DAL LIBRO PARAMUTIA 2017 BY SALVINO CAPUTO _(c) Copyright e Tutti i diritti riservati ISBN E SIAE