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Mafia, 42 anni fa Cosa Nostra trucidava il giudice Cesare Terranova

| Giorgia Garda | Ci ricordiamo di loro

Insieme al magistrato cadde vittima il maresciallo Lenin Mancuso, suo agente di scorta. Era il 25 settembre 1979

PALERMO, 25 settembre – Ricordare e tenere viva la memoria è un imperativo categorico quando si tratta di parlare di vittime di mafia. E ricordare l’immenso sacrificio di uomini e donne che hanno pagato con la vita la lotta al crimine organizzato, tenendo a mente che a tanto scempio sia umano che politico non vi siano ancora spiegazioni certe, risulta ancora più doloroso.

Un dolore più o meno simile a quello che si prova percorrendo via Edmondo De Amicis, nel cuore di Palermo, dove dal 25 settembre 1986 si trova una sobria targa in marmo che ricorda il magistrato e politico Cesare Terranova e il maresciallo di polizia Lenin Mancuso, morto durante il tentativo di sventare l’ennesimo attentato annunciato che li avrebbe uccisi entrambi. Erano le 8.30 circa, quella mattina del 25 settembre 1979, quando Terranova e Mancuso vennero barbaramente ammazzati da alcuni killer di Cosa Nostra mentre, a bordo di una Fiat 131, stavano prendendo una strada alternativa per recarsi al Palazzo di Giustizia. Le armi del duplice omicidio, della cui efferatezza sono diventate simbolo le tristemente celebri fotografie scattate da Letizia Battaglia pochissimo tempo dopo l’agguato, furono delle pistole e una carabina Winchester. Terranova, colpito anche alla nuca, morì sul colpo, mentre Mancuso scomparve in ospedale nelle ore successive. Il giudice Terranova si era distinto negli anni per la sua costanza e la sua determinazione nella lotta contro la mafia siciliana, in particolare quella della provincia di Palermo. Egli aveva sfidato i Corleonesi, capeggiati da Luciano Leggio che, dopo aver eliminato il medico e boss mafioso Michele Navarra nel 1958, avevano assunto il controllo del paese per poi approdare al capoluogo, pronti ad imporsi grazie a solidi legami con la classe politica al governo della città e della nazione. Intrecci tra crimine organizzato e classe dirigente che Cesare Terranova aveva messo nero su bianco in più occasioni.

Reduce di guerra, Cesare Terranova intraprese il lavoro presso il tribunale di Palermo all’interno dell’Ufficio Istruzione, dopo essere stato pretore sia a Rometta che a Messina nonché giudice istruttore a Patti, e fu militante del Partito Comunista Italiano, al fianco di Pio La Torre: il suo impegno di magistrato rappresentò le fondamenta sia per il processo di Catanzaro del 1965 che per quello tenutosi a Bari nel 1969. Purtroppo i due grandi dibattimenti giudiziari non avevano portato agli obbiettivi sperati, poiché quasi tutti i membri della mafia siciliana al banco degli imputati furono assolti in entrambi i casi. A ricevere l’ergastolo fu Luciano Leggio, per l’omicidio di Michele Navarra, il suo padrino mafioso, proprio colui che gli aveva conferito una grande autorità rendendolo campiere dei propri possedimenti. Anche in virtù del suo ruolo di segretario della Commissione parlamentare antimafia nella VI legislatura, Terranova aveva continuato a indagare sui rapporti e sui reciproci scambi che i mafiosi intrattenevano con alcuni esponenti della Democrazia Cristiana, tra cui Vito Ciancimino, Giovanni Gioia e Salvo Lima. Una lotta destinata ad arrestarsi violentemente e prematuramente.

La giustizia italiana ha individuato più responsabili per l’assassinio di Cesare Terranova e di Lenin Mancuso: oltre che a Leoluca Bagarella, Vincenzo Puccio, Giuseppe Giacomo Gambino e Giuseppe Madonia, indicati come esecutori materiali della strage, sono state inferte condanne a Luciano Leggio, ritenuto il principale mandante del duplice omicidio, nonché a Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò e Michele Greco. Forse, per dar prova della toccante dedizione che aveva sempre caratterizzato l’operato dell’instancabile giudice antimafia, basta ricordare le parole che circa un ventennio prima erano state pronunciate da Serafina Battaglia, prima testimone di giustizia donna in Italia. “Giudice Terranova ce n’è uno solo sulla Terra, uno solo: onesto come Terranova non ce n’è sulla Terra. Non offendo gli altri, ma lo dico e lo firmo col mio sangue. E noi due possiamo fare battaglia dicendo sempre la verità e con coscienza”.

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

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