

La tragedia di Monreale, consumata a due passi dal Duomo e sotto gli occhi dolci e misericordiosi del Cristo Pantocratore, ha scosso nel profondo non solo la comunità monrealese e siciliana, ma di tutto il Paese.
Dietro l’orrore al sangue che sporcherà per sempre le lastre di pietra calcarea, emerge un vuoto ancora più spaventoso: la perdita quasi totale di empatia tra le nuove generazioni, lo smarrimento del significato stesso della vita che ci fa riflettere e interrogare sulla condizione emotiva dei ragazzi e sul futuro stesso del mondo.
Sarebbe semplice parlare di devianza, di disagio sociale, di mancanza di opportunità. Credo che si tratti, purtroppo, di un male che sta mettendo radici nell’anima in evoluzione delle giovani generazioni e che ci rimanda a una silenziosa desertificazione delle emozioni che rende l’altro invisibile, il dolore inudibile, la morte banale.
Così la persona che abbiamo davanti diventa ostacolo, ombra senza valore, bersaglio e la sua morte diventa nulla in confronto al suono dei proiettili, allo sfogo di un’ira non più controllabile. L’assenza di empatia crea muri tra noi e l’altro e rende indifferenti a tutto ciò che accade.
Il mondo pare sia ormai destinato a rimanere “nell’ora e subito”, nell’apparenza a tutti i costi, nell’iperconnessione senza limiti, senza né controllo, nè filtri dove ognuno esprime un’opinione solitaria ed assoluta senza dialogo, contraddittorio, fonte, come se l’eco dei nostri pensieri conditi da parolacce e violenza verbale bastasse a non farci sentire soli. Contestualmente, come correnti che percorrono la stessa direzione di pari passo, si dilegua il senso della vita come bene unico, irripetibile e sacro.
Guardiamo i ragazzi agire con una crudeltà inaudita e senza controllo e rimaniamo confusi come davanti ad alieni venuti da un altro pianeta ma che sono il frutto del nostro fallimento nell’educazione alla responsabilità e al rispetto dell’altro diverso da sé come essere umano portatore dei nostri stessi diritti.
Li abbiamo educati secondo la logica “dell’efficacia ed efficienza”, abbiamo coltivato la cultura della velocità perché abbiamo ritenuto che un mondo dall’evoluzione così veloce, ha bisogno di uomini che crescessero e agissero altrettanto rapidamente e non abbiamo capito che, a volte, la velocità ci impedisce di fermarsi per riconoscere e rispettare l’altro, incapaci di provare empatia.
Ne è la prova quanto è accaduto nella nostra terra, nella quale il Cristo Pantocratore è diventato il silenzioso testimone dell’abisso dei giovani e aridi cuori disidratati e distanti gli uni dagli altri.
Oggi, a Monreale è stata scritta una pagina di storia ignobile che cambierà inesorabilmente il corso del nostro destino e che non ha eroi ma solo vittime innocenti e carnefici che non cambieranno mai.
Eppure, questa stessa pagina ci dice che l’indignazione non paga, che fermarsi è la fine e che il silenzio è vergogna e ci spinge a pensare che la rotta del nostro destino è tracciata da noi.
Le domande che bruciano nelle nostre gole riguardano, oggi più che mai, il valore della vita e il futuro dei nostri figli ed è davanti a queste che sentiamo l’obbligo di cercare la strada per rieducarci e rieducare al sentimento e all’empatia, alla comprensione, alla pietà e alla percezione dell’altro come parte integrante di una umanità che si riconosca come gruppo unico capace di portare a termine il compito di proteggere e custodire la vita.
Articoli correlati
Articoli correlati mobile
C’era una volta il progetto civico
MONREALE, 3 aprile – L’ingresso del sindaco Alberto Arcidiacono in Forza Italia, con tanto di comunicato stampa corredato di foto, mossa che mancava solo del crisma dell’ufficialità, segna un preciso spartiacque nella politica recente della nostra cittadina.