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Morto un Papa se ne fa un altro, ma non tutti segnano la storia

| Giuseppe Leto | L'opinione
fumetto di Giuseppe Leto

Morto un Papa se ne fa un altro; ma non tutti i papi lasciano una impronta che segna la storia della Chiesa.

San Giovanni Apostolo, nell’iconografia cristiana, è l’Apostolo prediletto.  Coetaneo di Gesù, Giovanni è l’Apostolo che nelle peregrinazioni lungo le terre della Palestina gli sta accanto. Conversa, approfondisce, commenta con il Maestro il significato del pensiero, della parola, dei miracoli, delle parabole. Questa particolare vicinanza la manifesta nell’inizio del suo Vangelo, là dove l’Apostolo in tre passaggi fornisce la chiave di lettura della  “buona novella”.

Dio è Parola, dice l’Apostolo, la Parola si incarna in Cristo. Sul Golgota la Parola viene crocifissa, ma essa dopo tre giorni risorge. Qual è la Parola che è Dio? Nella prima lettera indirizzata ai romani lo stesso Apostolo svela che la Parola che riassume l’essenza del massaggio evangelico è: “Carità” . La Carità è la Verità che racchiude in sé la pace, la giustizia, la fratellanza, l’amore; è arte, bellezza, musica che elevano lo spirito; scienza che studia e svela l’ordine delle cose. È Vita che aggrega e non distrugge,  Questa è la Via che unisce l’umano al divino.

Ed infatti lo stesso Apostolo Giovanni sottolinea che la cristianità è uno spazio operativo dentro al quale le appartenenze non sono certificate da un distintivo, da idoli, dagli attributi: cristiano, cattolico, ateo, laico, musulmano, ma dalle azioni e solo chi sta in questo spazio consapevolmente o inconsapevolmente, è compartecipe del disegno di Dio e diventa lui stesso creatore. Questo il messaggio della Parola.

Alla fine degli anni ’60, in coerenza con i principi riformatori del Concilio Vaticano II, si è sviluppata nel continente latino americano una corrente  di pensiero del locale  Consiglio episcopale:  la “teologia della liberazione”. Dom Helder Camara, arcivescovo di Recife in Brasile, ne è stato un indiscusso protagonista.

L’ accento di quella teologia, testimoniata dai preti operai nelle favelas tra i lavoratori più sfruttati, veniva posto sull’aspetto più importante del messaggio di Cristo: il riscatto della povera gente per una condizione sociale umana e dignitosa quale presupposto per un regno di pace, di giustizia, di fratellanza, di amore  quale è il regno dei cieli. “Se Marx avesse visto intorno a sé una Chiesa incarnata, continuatrice dell’incarnazione di Cristo, se avesse vissuto nei giorni del Vaticano II, non avrebbe presentato la religione come l’oppio dei popoli e la Chiesa come alienata e alienante”. “Quando do da mangiare a un povero tutti mi chiamano santo. Quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, tutti mi chiamano comunista”

Queste alcune delle frasi dell’Arcivescovo Brasiliano, allora ritenuto figura ingombrante dalla Curia vaticana ed osteggiato  dall’Episcopato nordamericano. Da cardinale Mons. Bergoglio non ne condivise alcuni aspetti radicali, ma da Papa ispirò il suo Magistero a quella teologia.

Asceso al soglio pontificio egli, gesuita,  lancia subito il primo messaggio assumendo il nome di Francesco  per il legame che univa la “teologia della liberazione”  alla” Chiesa povera per i poveri” del Santo di Assisi.  Abbandona i Palazzi pontifici ed elegge a sua dimora Santa Marta rifugio di pellegrini.

Nel 2015 riapre la causa di beatificazione dell’Arcivescovo di Recife bloccata da Papa Giovanni Poalo II reduce, in Polonia, dall’esperienza liberticida dell’URSS. “L’unica guerra legittima è quella che si dichiara all’ignoranza e alla miseria”  “non c’è pace senza giustizia” diceva Dom. Helder Camara.

“Fino a quando non si eliminano l'esclusione e l'inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza” dice Papa Francesco nella Evangelii Gaudium del 2013.  “L’indifferenza è complice delle ingiustizie” dice Papa Francesco in Fratelli tutti nell’anno successivo.

Questo profondo legame testimoniato nel pensiero, nelle encicliche, nell’azione, nei gesti sottolinea la grandezza di Papa Francesco che, a mio avviso, passerà alla storia per avere rivoltato la missione cristiana dando impulso al Concilio Vaticano II.

 Non nella “divinizzazione dell’umano” sta l’essenza dell’insegnamento cristiano, ma nella “umanizzazione del divino”. Nella costruzione del divino in terra, nella “incarnazione della Parola” .

La vita non è un percorso cupo di espiazione per conquistare un posto nel teatro nel quale Dio esibisce la sua onnipotenza, ma un percorso gioioso di vita, di costruzione di pace, di giustizia, di libertà, di fratellanza che non contrappone ma congiunge esistenza ed eternità. Nella Preghiera per eccellenza non si chiede al Padre “fammi venire nel tuo regno” ma  “venga il tuo regno”- dove il “venga” non è un’attesa, ma un impegno a costruirlo qua, in questo mondo.

È questo, a mio avviso, l’insegnamento di Papa Francesco che fa giustizia dei fariseismi, delle ipocrisie, della idolatria, dalle strumentalizzazioni dei falsi profeti. Da questa visione di vita che inizia un processo scaturisce l’esortazione ai giovani di nobilitare la politica. Credo che il Magistero di Papa Francesco si riassuma in questa operazione di “incarnazione della Parola” che torna e tornerà a risorgere sempre dopo tre giorni dalle crocifissioni.

Oggi Papa Francesco in continuità si congiunge al regno dei cieli e da lì rilancia il messaggio di speranza, di gioia, di pace, di giustizia che ha seminato sulla terra. Buon approdo Papa Francesco.

· Enzo Ganci · Editoriali

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