fumetto di Stefano Gorgone
La partecipazione numerosa e gioiosa dei giovani alla recente notte bianca promossa dal nostro arcivescovo monsignor Isacchi a Poggio San Francesco è certamente una buona notizia. E' stato un incontro ecclesiale capace di allargare orizzonti, dilatare il cuore, suscitare speranza.
E' stato un evento, così come quelli realizzati con gli studenti di alcune scuole, in cui monsignor Isacchi è sembrato molto a suo agio nel dialogo con le nuove generazioni, nel comprendere le loro inquietudini, le loro richieste, le loro ferite e stimolarne la voglia di futuro.
E' stato naturale per me ricordare gli anni '60, quando centinaia di giovani del centro studentesco e della Fuci, guidati da don Gino Bommarito sono stati formati ed aiutati a realizzare il loro progetto di vita, a costituire famiglie fondate sui valori cristiani. Molti di loro negli anni successivi sono diventati la classe dirigente della nostra città. In effetti fu un tempo ricco di frutti umani e spirituali, di amore, di fiducia nell'avvenire, di generosità e disponibilità per tutti.
In verità nei decenni scorsi molta attenzione è stata dedicata all'universo giovanile e al suo rapporto con l'esperienza della fede, ma è indubbio che la partecipazione dei giovani alla vita della Chiesa, ancor di più negli ultimi due anni a causa della pandemia, si è sempre più ridotta. Sono molti coloro che non hanno alcun rapporto con la comunità ecclesiale o un rapporto molto fragile. E senza i giovani, come afferma papa Francesco, “avremo una Chiesa museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire.”
E' un'assenza, quella dei giovani, da attribuire non solo agli scandali sessuali ed economici, alla difficoltà della Chiesa di intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani, al ruolo passivo ad essi assegnato all'interno della comunità cristiana ma, come afferma il teologo Armando Matteo, anche all'assenza di adulti responsabili, saldi in se stessi, capaci di accompagnare le nuove generazioni nel cammino della crescita. Il nostro, invece, è un mondo dalle porte sempre chiuse, un mondo che non fa crescere i giovani, non li educa ad un'esperienza di fede, non li cerca per attivarne le energie e valorizzarne le intelligenze.
Anche Gustavo Zagrebelsky nel suo saggio “Senza adulti” lancia un grido d'allarme per l'assenza di adulti maturi, che siano all'altezza della propria identità e responsabilità. Oggi, afferma il noto giurista, è finito il tempo della maturità, vi sono “madri che vogliono essere ed apparire come le figlie e padri che rinunciano a se stessi per mimetizzarsi nella cultura giovanile dei figli.” Ed in effetti sembra che gli adulti, coltivando il mito della giovinezza come Peter Pan, non vogliono crescere e credere ad altro che non sia la loro giovinezza provocando in tal modo veri e propri disastri educativi.
Questa assenza degli adulti ed in particolare dei genitori non può non avere gravi ricadute non solo nella crescita umana ma anche nella trasmissione della fede e nella formazione spirituale dei figli. Appare, dunque, sempre più urgente recuperare un rapporto più solido ed intenso tra le generazioni perché, come afferma bene papa Francesco “solo se i giovani si radicano nei sogni segnati dagli anni e dalle esperienze degli anziani possono avere visioni che aprono loro nuovi orizzonti e nuovi cammini”.