Lo ha detto ieri l'arcivescovo di Monreale, monsignor Gualtiero Isacchi, nel corso dell'omelia per il nuovo anno pastorale
MONREALE, 15 ottobre – Si è svolta ieri pomeriggio in una cattedrale gremita di fedeli la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Monreale, Gualtiero Isacchi, con cui si è aperto il nuovo anno pastorale.
La prima volta per il neo arcivescovo di Monreale che ha pronunciato per l’occasione un’intensa omelia ricca di spunti e richiami nella sua parte finale ai tre impegni che il nuovo anno richiederà alla Chiesa monrealese: umiltà, condivisione e cura.
‘’Tre impegni. - ha detto l’arcivescovo - Vorrei, infine, consegnarvi la metafora del corpo che Paolo propone alla comunità di Corinto. Non è questo il luogo per approfondire il testo, ma chiedo a voi comunità parrocchiali, religiose e realtà ecclesiali tutte di fare di questa pagina motivo di studio, preghiera, meditazione e contemplazione.
In questo testo, l’unità e la diversità dei doni dello Spirito sono illustrati da Paolo attraverso la metafora del corpo umano e delle membra. L’organismo umano si presenta in due dimensioni essenziali: l’unità e la pluralità. L’unico corpo è formato da molte membra e le molte membra costituiscono l’unico corpo. Ma di quale corpo parliamo? Paolo scrive: ‘’Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo’’. Paolo sembra saltare un passaggio. Dove ci si attenderebbe: ‘’Così pure la Chiesa’’, noi troviamo ‘’Così anche Cristo’’. Egli contempla la persona di Cristo e vede in essa tutta l’ecclesiologia. Non dimentichiamo questo passaggio: la Chiesa è Cristo. La Diocesi di Monreale è Cristo a noi il compito di mostrarlo nella sua bellezza e nella sua misericordia.
Tenendo conto di questa considerazione generale, da questo brano vorrei ricavare tre parole che unitamente alle due domande precedenti, divengano un impegno comune verso cui tendere in questo inizio anno.
Umiltà. Ciascuno di noi è parte di un corpo che non può funzionare senza le altre membra. Viviamo il nostro servizio tenendo presente sempre la totalità del corpo: non è sufficiente che io faccia la mia parte, non poso stare tranquillo se le mie attività funzionano. Per il benessere del corpo è necessario che tutti siano messi in grado di svolgere la loro funzione. Nessuno di noi, nemmeno il vescovo, è la parte più importante. Abbiamo semplicemente compiti diversi: manteniamoci liberi dai ruoli e dai titoli. Facciamo attenzione a non assolutizzare la nostra esperienza di fede, di preghiera o di servizio ed anche a non imporla agli altri.
Condivisione. L’umiltà richiede che ciascuno si impegni a conoscere gli altri, facendosi conoscere dagli altri. La consapevolezza di non bastare a noi stessi ci deve far intendere il nostro servizio dono gratuito per il funzionamento del servizio degli altri. C’è un sentimento, che nei vocabolari viene definito “malanimo”, che voi mi dite essere radicato nel nostro popolo: è l’invidia, “semo cristiani miriusi”, così mi avete detto. Nella Chiesa Corpo di Cristo non può esserci spazio per l’invidia. È la prima lotta che vi chiedo di combattere utilizzando le armi della stima: ‘’gareggiate nello stimarvi a vicenda’’.
Senza questa stima non può esserci condivisone.
Cura. Non è sufficiente fare insieme e collaborare, anche se questo ci dà gioia, direbbe Gesù “se fate questo, cosa fate di straordinario, non fanno così anche i pagani?” (Mt 5, 46-48). Il cristiano è colui che si prende cura dei fratelli e delle sorelle, Paolo scrive: ‘’le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto’’. Eliminiamo dal nostro vocabolario “non mi interessa”! Tutti e tutto mi appartiene: i fratelli, le sorelle, il creato… Dio me lo ha affidato. Le difficoltà e le gioia dell’altro mi appartengono, fanno parte di me’’.
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