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In libreria il memoir ''Infanzia alla Bavera'' di Salvatore Cangelosi

| Benedetto Rossi | Cultura

Un viaggio a ritroso nel tempo nei luoghi dell'infanzia dell'autore

MONREALE, 7 settembre - È stato pubblicato a giugno, per la collana I Capperi TORRI del VENTO Edizioni, il libro Infanzia alla Bavera di Salvatore Cangelosi a poco più di un anno dall’ultimo suo libro Collage, edito da Istituto Poligrafico Europeo, di cui avevo scritto alcune riflessioni per la testata giornalistica che ci ospita.

In quella circostanza auspicavo, apprezzando la sua spiccata sensibilità e la sua acuta propensione allo studio di luoghi e personaggi, che un giorno o l’altro salvatore Cangelosi ci raccontasse di Monreale, dal suo punto di vista, dalla sua prospettiva.
Mi piace pensare che sin da subito avesse accolto l’invito, o forse era già in cantiere l’elaborazione del presente libro, che racconta attraverso una memoria “ritrovata” aspetti della Monreale di un tempo ormai lontano, motivo per il quale l’ho letto con curiosità e maggiore piacere, misto ad una punta di orgoglio personale.
Per uno come me, che scrive per diletto e non per mestiere, riferire del recente libro Infanzia alla Bavera di Salvatore Cangelosi è un privilegio e - un diletto, appunto - al tempo stesso.

Non una recensione, ma un invito alla lettura, meglio alla buona lettura, perché se leggere apre la mente verso nuovi orizzonti, amplia il nostro modo di vedere e di pensare, il libro di Salvatore Cangelosi ci riesce in pieno, accompagnandoci in un viaggio a ritroso nel tempo, nei luoghi della sua infanzia, in quel quartiere storico della Bavera posto nella parte alta di Monreale.

Cangelosi mette a dura prova la propria memoria, un’operazione non semplice, come egli stesso dichiara, perché i ricordi risalgono a più di sessant’anni fa, quando bambino faceva da spola quale messaggero “porta ordini” tra la madre e la nonna Grazia, dalla sua abitazione situata nella principale arteria del quartiere, ovvero la via Baronio Manfredi, alla vicina casa della nonna materna e la scuola “Pietro Novelli” che egli definisce “chiassoso alveare umano” di questo suo ruolo di messaggero dice “un triangolo difficile da evitare; un tavolo da biliardo a tre sponde”.

In questo triangolo di spazio e di tempo echeggiano i colpi di martello sull’incudine del fabbro Oddo, l’abbaiare dei cani randagi, i belati del gregge di ritorno dai pascoli all’ovile, sotto la vicina cava. E poi la voce stridula di Celentano, che al piccolo Salvatore e non solo, quasi angosciava, quando comparvero i primi giradischi e i cantanti urlatori la facevano da padroni, siamo agli inizi degli anni sessanta.

La saggia raccomandazione della nonna di salutare i vecchi seduti davanti l’uscio delle loro abitazioni rimanda all’antico insegnamento, che “il saluto è dell’angelo”.
Quei vecchi fungevano da guardiani, figure immobili quasi di pietra a guardia della strada, quale monito per i più giovani a rigare diritto.
Cangelosi non si sottrae al saggio consiglio della nonna, anzi, durante il tragitto scruta, osserva e viene osservato, sviluppando quella caratteristica di osservatore del genere umano che lo contraddistingue.

Oggi, queste immagini sono cartoline rigorosamente in bianco e nero, di un tempo che fu, come in bianco e nero sono gli innumerevoli ricordi descritti nel libro.
Suoni, sapori, percezioni olfattive e visive gli ingredienti che emergono dal racconto di quegli anni alla Baronio Manfredi, le abitazioni tutte uguali povere di mobilio, “dimore ricche di miseria” che talvolta ospitavano lo stallo per l’asino.
Gente umile e laboriosa i residenti della Bavera, che malgrado le condizioni di miseria affrontavano la difficile quotidianità con dignità.
Affiorano alla memoria le anguste e buie botteghe dove si vendevano la pasta sfusa, l’olio, l’estratto di pomodoro e le sarde salate dal forte odore metallico, che lo sconcertava. Appese alle travi le forme giallognole del caciocavallo e le lunghe trecce d’aglio che pendevano dai muri.

La sirena della vicina cava che avvisava i residenti dell’imminente scoppio, per far saltare qualche pezzo di costone, “una ferita assurda inferta alla montagna e al paesaggio circostante”.
Da bravo ritrattista Cangelosi descrive tracciandone caratteristiche somatiche e comportamentali, tutta una serie di personaggi di quell’epoca, soggetti eccentrici li definisce, che reclamavano attenzione alla Bavera.
Alcuni dei quali ho conosciuto personalmente più avanti negli anni, come il vanitoso “muto”, un sordomuto che incurante del freddo sfoggiava il “petto villoso” sono parole di Cangelosi, sotto la camicia aperta. Lavorava sodo e a fine giornata vestiva con pantaloni e giacche dai colori piuttosto sgargianti e insoliti, aggiungerei.
In fila innumerevoli personaggi descritti con acume, la zia suora, la nonna Grazia e la madre, instancabile lavoratrice, Don Mimì il droghiere, le sorelle Torre risolute panettiere, l’alto e ben piantato Fucaloro della frequentatissima mescita dei vini, unico luogo di ritrovo.

Ancora impresso nella memoria il cigolio del carretto del povero Luciano, un venditore di patate vecchie, tanto ricercato e stimato dalla nonna, perché nonostante gli acciacchi non perdeva un giorno di lavoro e il vecchio postino Gelsomino, per citarne alcuni.
E poi, Ninni Marchese il bidello della scuola Pietro Novelli, che Cangelosi ha frequentato; Marchese era un amico del padre, sovente all’uscita dalla scuola gli dava un buffetto sulla guancia raccomandandogli di comportarsi bene. Pare abbia avuto un breve momento di gloria come comico al seguito della compagnia di avanspettacolo di Macario. Era molto bravo a eseguire numeri da prestigiatore, circostanza che anch’io ricordo, quando veniva a trovare mio padre nella piazza di Monreale.
Con il padre di Salvatore condivideva la passione per il teatro dei pupi e spesso si ritrovavano nel teatrino dei fratelli Munna al Cortile Manin.
Il Cangelosi, quando si lascia trascinare dal ricordo del padre dice del suo volto olivastro, come quello di un saraceno e aggiunge “ora che ci penso, mio padre poteva somigliare ad uno di quei pupi siciliani che tanto amava, giacché li considerava alla stregua dei suoi più cari amici…”

Di quel teatro dei pupi e delle storie dei paladini di Carlo Magno, il padre Filippo era un eccelso cultore “simpaticissimo nel raccontare le storie dei paladini di Francia” e “bravissimo marito” questi gli aggettivi usati dalla zia suora che lo elogiava durante la visita all’istituto.
Il riferimento ai pupi e al teatrino dell’opera dei pupi è quasi una costante nei testi di Salvatore Cangelosi e il padre rappresenta, a parere dello scrivente l’archetipo dell’appassionato di antica tradizione.
Dalla Bavera, il Cangelosi quando la scuola terminava, su concessione dei genitori si recava nella bottega di scarpe e pellami dello zio Giuseppe Di Miceli, situata nella centrale e movimentata via Pietro Novelli. Lo aiutava svolgendo alcune commissioni e ne osservava le fattezze.
Lo zio era un uomo alto e magro, generoso e taciturno, sempre in doppiopetto scuro, la cui somiglianza scrive, costituisce un compromesso tra Aldo Moro e Ciccio Ingrassia.
Dalla centrale via Pietro Novelli al Cinema Imperia il passo è breve, le pellicole del grande Totò erano l’attrazione maggiore, insieme all’opera dei pupi, i pochi svaghi concessi.

L’epilogo è un susseguirsi di interrogativi, che lasciano intravedere un cambiamento del modo di vedere la realtà, un anelito verso la vicina città di Palermo vista dalle alture della Bavera, un richiamo verso mondi nuovi e inesplorati; quei vicoli stretti, labirintici prima decantati, cominciano a diventare quasi asfissianti.
Infanzia alla Bavera ha il pregio di proiettare il lettore in un tempo lontano, un mondo ormai scomparso visto attraverso i ricordi di un bambino, in un arco temporale relativamente breve, ma intenso, dove quei personaggi quasi mitologici della Bavera diventano labili ricordi.
Il libro sarà presentato a Palermo alla libreria Feltrinelli il 13 settembre alle ore 18,00 e a Monreale alla Biblioteca Comunale il 18 ottobre.

 

 





· Enzo Ganci · Editoriali

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