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Monreale, la città che muore

| Tonino Russo * | Cronaca varia

Riceviamo e pubblichiamo...

MONREALE, 11 agosto – È mattino presto ed il sole batte già forte sui tetti e le strade di una Monreale che dà l’impressione di essere abbandonata a se stessa: alle sofferenze dell’afa e dello scirocco estivo, come all’acqua ed al vento, in inverno.

Ancora il frastuono dei clacson e delle macchine, che a breve resteranno bloccate nel traffico, non ha preso il sopravvento. Ma puntualmente e sempre negli stessi stramaledetti punti accadrà. Forse mezz’ora al massimo e il caos tornerà ad essere origine, essenza e natura di una città che non ha, non vuole e non tollera le regole, le idee e chi pensa. Forse per paura, più probabilmente per innata pigrizia.
A rendere meno amara la giornata, arriva non distante la folata che profuma di pane appena sfornato in qualche forno a legna che resiste, resiste e resiste e, già a lume di naso, non è difficile rintracciare.

La sera prima si era prolungata fino a notte inoltrata, con lo sgasamento inorgoglito di una moto; con le impennate folli su una ruota di un’altra carenata, con urla e schiamazzi, petardi, perfino inspiegabili giochi d’artificio. Ma cosa hanno da celebrare così solennemente tutte le sere? Chi dovrebbe chiederselo, se lo chiede?
Nei vecchi quartieri, ormai sotto popolati, in cui la Monreale odierna è cresciuta, (il Carmine, San Vito, Bavera, la Ciambra), non c’è più lo spazio né la sicurezza per chi in estate amava prendersi il fresco al proprio balcone o tirando fuori la sedia davanti alla propria persiana, per scambiare due chiacchiere con i dirimpettai. Qui ormai di bambini, di giovani e di famiglie giovani ce ne sono sempre meno, anch’esse in attesa del momento giusto per cercare fortuna in un angolo di mondo più ricco ed ospitale.

Il lavoro, sì il lavoro. Colpa del lavoro che non c’è e di cui bisogna prendere atto. Come se fosse un tema tabù, una questione irrisolvibile di cui in questa città non si deve parlare se non per straparlare e dire cazzate a ripetizione. Mi chiedo e chiedo: chi si dovrebbe occupare dello sviluppo economico della città? Chi dovrebbe costruire politiche a sostegno dell’agricoltura, dell’artigianato, del commercio? Chi dovrebbe pianificare azioni e cogliere opportunità di investimenti privati e pubblici, per diritto e non per favore?
Più di qualcuno ha detto che potremmo vivere di solo turismo, visto il potenziale spontaneo che mostrano di possedere i principali monumenti cittadini, Duomo e Chiostro. Invece, no! Niente di tutto questo. Perciò si può intuire perché, proprio in questo settore, si viva una profonda rabbia che è anche frustrazione, un fallimento totale, difficile da comprendere e meno che mai da digerire.

Intanto, anche oggi di pullman di turisti se ne sono visti davvero pochi e per giunta sono rimasti poco tempo, tale da non consentire ai propri passeggeri di sorseggiare almeno una bottiglietta d’acqua o un caffè. Altro che “turismo mordi e fuggi” qui siamo al “inspira, espira e fuggi” snobbando ogni forma di gastronomia, per quanto eccellente possa essere.
Gli autobus di linea, poi, sempre meno frequenti se non addirittura inesistenti, servono ormai solo a qualche disgraziato che non ha alternative: che sembra più un vagabondo senza soldi in tasca che un portatore di ricchezza.
Così è giunta pure la sera. Le luci di molte vie principali resteranno forse ancora una volta spente. Mentre, nel “corso”, ormai molti negozi hanno chiuso i battenti per sempre, divenendo l’emblema più evidente di una città che muore e non ha trovato la via per rinascere.

Di certo, al capezzale di quelle attività ormai defunte non c’è stato nessuno. E soli sono stati lasciati i titolari, nel momento di maggior difficoltà e sconforto. Figurarsi! Meglio tenersi alla larga e partecipare al più utile e comodo taglio del nastro inaugurale di qualche sporadico nuovo avventuriero.
Intanto, senza pause né ripensamenti, giorno dopo giorno, la città continua a morire, senza nemmeno che il medico si interroghi o chiami specialisti a consulto. Cadono, soprattutto nei quartieri antichi, a pezzi le case, a centinaia dirute e puntellate. I malati, dentro e fuor di metafora, continuano ad andarsene. Gli uni e gli altri, pietre ed anime di una città malmessa, non hanno finito di penare.

Nemmeno il “Riposa in Pace” nell’immediatezza sarà loro concesso. Dovranno ancora attendere. A deposito, come ormai oltre un centinaio di nostri familiari da più di un decennio sono costretti a fare. In effetti questa è la metafora più appropriata per una città che non ha rispetto più per nulla, a partire dalla fine della vita. In fondo, in qualche modo la terra più lieve di così non può essere e la campana è nuovamente pronta per suonare. Questa ormai è l’unica normalità!

 

 

 



· Enzo Ganci · Editoriali

MONREALE, 15 settembre – Presentiamo oggi la nuova veste grafica di Monreale News, il nostro quotidiano, al quale diamo un nuovo look, un nuovo aspetto.

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