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Roncisvalle: la fine dei Paladini di Francia, l’inizio di un’epopea che si tramanda nei secoli, fino ai nostri giorni

Sona la trumma a forti tonu d’ira, / Orlannu a lu sò cornu si cunfia; / e vennu di tempesta e di ruina, / trema la terra di la carpistina. / Su peggiu di liuna ‘nfuriati, / longhi li lanci e cu l’armi ‘ncartati, / l’incontri su terribuli e fatali, la morti ’nta lu campu metti l’ali.

Con questi versi del cuntista don Filippo Adelfio, riportati da Felice Cammarata, e con l’episodio più struggente dell’epopea cavalleresca della Morte di Orlando nelle gole di Roncisvalle riprendiamo dopo una lunga pausa, il viaggio attraverso le storie, le gesta dei protagonisti del fantastico mondo dell’Opra di li Pupi espressione tanto cara al Pitrè che allo studio delle tradizioni popolari e all’Opra ha dedicato molto del suo tempo e dei suoi trattati.
Con voce tremante recitava il novantenne don Filippo residente a Palermo in via Villagrazia, 362, circostanza raccolta dal Pitrè e constatata personalmente dallo studioso Felice Cammarata, che ebbe la possibilità di ascoltarla dalla voce dell’anziano contastorie.
Con due racconti, tanto cari ai pupari e cuntisti di ieri e di oggi, riprendiamo la trama delle storie dei paladini partendo dalla morte del prode Orlando, e con l’episodio de “L’ultima stilla del sangue siciliano” che fu rappresentato da Onofrio Sanicola ed Enzo Rossi nel Teatro Drammatico dell’Opera dei Pupi “Guglielmo” a Monreale.

Il primo è il famoso racconto della Morte di Orlando o la Morte dei Paladini, la Rotta di Roncisvalle o più semplicemente Roncisvalle, il più commovente e coinvolgente delle storie dei paladini di Francia, il secondo è un episodio che veniva rappresentato nell’opera dei pupi dal titolo: “L’ultima stilla del sangue siciliano” raccolto dalla voce del puparo Enzo Rossi e trascritto in un breve saggio sull’Opera dei Pupi composto dell’allora studentessa della Facoltà di Scienze della Formazione Primaria, Patrizia Roccamatisi, oggi affermata Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo Statale “Margherita di Navarra” di Pioppo.

Felice Cammarata così scrive in “Pupi e Mafia” I.L.A. PALMA, Renzo Mazzone editore Palermo 1969; “Sono versi di solito vivaci nelle descrizioni, qualche volta fluidi nella forma, coi quali, in un tempo ingenuo e semplice nel passato, i vecchi potevano ancora perpetuare nei nipoti l’insaziabile sete d’imprese nobili”. “So di uomini, dice il Pitrè, che nella nostra provincia conoscono una storia della “Morte dei paladini” in consonante, cioè in poesia”, riportando quanto appreso in “Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia” del noto medico antropologo, cit., pagina 229.
Versi struggenti, che don Filippo recitava quasi piangendo, davanti a un pubblico commosso e coinvolto che - lasciandosi trascinare dal pathos e dagli avvenimenti concitati, magistralmente raccontati dal cuntista - considerava l’episodio un momento triste e luttuoso.


La trama è nota a tutti, e riguarda la più importante e più bella tra le canzoni di gesta del ciclo carolingio, ovvero, la Chanson de Roland attribuita a Turoldo, che prende spunto da un evento storico: mentre l’esercito di Carlo Magno risaliva i Pirenei, reduce da una spedizione nella penisola iberica, il 15 agosto 778, la sua retroguardia venne assalita di sorpresa e sterminata dalle tribù basche nella gola di Roncisvalle. Nello scontro perì un generale di nome Rolando “Hruodlandus”, prefetto della marca di Bretagna destinato a diventare l’eroe più famoso e celebrato della letteratura d’occidente, e successivamente, il paladino Orlando dell’opera dei pupi. Sotto l’azione antimusulmana che pervase l’Europa cristiana al tempo delle Crociate in cui fu creata l’opera – i montanari baschi già cristianizzati si trasformarono in pagani – la battaglia di Roncisvalle divenne un evento straordinario nella lotta contro i nemici della cristianità; il resto è pura invenzione, frutto della fantasia poetica.
A diffondere e a trasformare la narrativa “colta” in “popolare” è stato Giusto Lo Dico (1829 – 1909) con la sua “Storia dei Paladini di Francia”, punto di contatto e raccordo tra i due linguaggi; l’opera pubblicata in quattro volumi negli anni 1858-1862 ha permesso la trasmissione orale delle storie cavalleresche, diventando punto di riferimento per tutti i pupari e gli appassionati lettori.
E sempre il Cammarata, che riferisce di una rappresentazione del 1949, in un teatro allestito in un ex-oleificio a Terrasini, poche sedie in fila, un piccolo spazio e qualche fondale colorato.
Quando inizia lo spettacolo al ritmo concitato dello zoccolo di legno sul tavolato, saltano teste, scudi e sotto i colpi di spade, scimitarre e lance cadono a terra saraceni e cristiani; un silenzio spettrale cala sul palcoscenico sottolineato dal coro che annuncia il tradimento di Gano; sta per compiersi il misfatto, l’atmosfera si carica di tragedia e di dolore. “Oliviero, o fido Oliviero, sono tutti morti i paladini, Ricciardetto, Astolfo, fratelli miei che morite! Cosa accadrà a Parigi dopo il tradimento di Gano?


Dov’è il nostro re Carlomagno?”. Orlando esclama: “Vedete quanti valorosi giacciono al suolo! Possiamo davvero compiangere la nostra dolce Francia, la bella che rimane vedova di tali baroni! O re Carlo, amico nostro, perché non siete voi qui?”.
La voce del puparo è strozzata dalla commozione e con essa la platea scossa dalla tragedia di Roncisvalle, in un’atmosfera surreale il suono dell’Olifante invade la sala e scorre lungo la schiena degli astanti, accorre Carlo Magno con il suo esercito e annienta i saraceni.
L’episodio, altro non è che un capitolo della “Chanson de Roland” sapientemente filtrato dai pupari, che non avendo mai visto il testo di un poeta fanno rivivere attraverso varie fonti e spesso senza un copione, le vicende cavalleresche come dei veri attori, registi e attenti lettori.

L’altro brano è stato trascritto da Patrizia Roccamatisi, dal racconto orale di Enzo Rossi, e ha il titolo: L’ultima stilla del sangue siciliano.

Il poema narra la morte del generale cartaginese Saba, il quale aveva mandato il fratello minore a studiare ad Agrigento. Questi aveva avuto una relazione amorosa con una donna agrigentina di nome Carmela, che era sotto la protezione del Tribuno Romano, Alessandro.
La donna voleva sposarlo e coronare il sogno d’amore, ma l’uomo rifiutò, e così fu ucciso.
Saba non avendo avuto notizie del fratello si recò ad Agrigento in cerca del congiunto e indagando tra i popolani seppe della sua morte, addolorato per la triste scoperta manifestò l’intenzione di vendicare il povero fratello e tornato a Cartagine preparò un esercito di quaranta mila uomini armati e ben addestrati alla guerra. Sbarcato sule coste siciliane, a capo del suo potente esercito mise a ferro e a fuoco la città saccheggiandola.
Nello scontro cruento il Tribuno Alessandro perse la vita, Saba desideroso di portare con sé le armi del rivale, in segno di vittoria sul nemico, si mise in cerca del suo corpo esamine; fattasi sera, munito di una lanterna a petrolio cercò tra i soldati ormai privi di vita il Tribuno per privarlo delle sue armi, ma un soldato fingendosi morto lo trafisse alle spalle con la lancia.
Egli raccogliendo le ultime forze, mentre il soldato si preparava per dargli il colpo di grazia finale, disse: “vile, tu colpisci un uomo morto, para se puoi questo terribile colpo e gli staccò di netto la testa”.
Con queste parole e con la morte di entrambi finiva lo spettacolo.

Planava l’angelo sulla scena per portare in cielo l’anima di Orlando e dei prodi paladini, caduti per difendere l’onore e la cristianità, sotto lo sguardo attonito del pubblico, risollevato solo dalla scena dello squartamento del vile traditore Gano.
Con Roncisvalle finiva il lungo racconto dell’epopea cavalleresca, per ricominciare le sere successive con lo stesso pubblico sempre pronto a gioire, soffrire e ad appassionarsi con le gesta dei propri paladini, eroi di legno e alpacca.