Un racconto e una mostra fotografica per ricordare i martiri della lotta alla mafia. Prima tappa, il Teatro Massimo di Palermo, a partire da oggi
PALERMO, 18 maggio – Una foto del 1969, ritrae insieme Paolo Borsellino, allora giovane pretore di Monreale, e il colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa, comandante della Legione carabinieri Sicilia: era una riunione fra magistrati e investigatori per discutere dell’ultima aggressione mafiosa, la strage di viale Lazio.
In un’altra immagine, Dalla Chiesa è accanto al capitano Giuseppe Russo, il comandante del nucleo Investigativo che nel 1974 scoprì il covo dove vivevano i giovani sposi Totò Riina e Ninetta Bagarella: una foto ritrae l'annuncio delle nozze scritto a mano. In un’altra immagine di quei giorni c’è il cognato del futuro capo dei capi, Leoluca Bagarella, in manette alla caserma Carini. Una mostra promossa dall’Arma dei Carabinieri e dalla Fondazione Falcone, con la Biblioteca centrale della Regione Siciliana e il Teatro Massimo, racconta la lotta alla mafia prima del maxiprocesso: le indagini fatte negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, quando ancora non erano arrivate le rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, furono determinanti per il lavoro che poi svolse il pool antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
A rievocare quella stagione, un racconto del giornalista Salvo Palazzolo, che ha recuperato immagini, gran parte inedite, conservate nel Museo della memoria della Legione Carabinieri Sicilia e nell’archivio del giornale “L’Ora” di Palermo. Foto simbolo di questa narrazione, quella di Carlo Alberto dalla Chiesa sorridente che sta donando alcuni palloncini ai bambini per la festa della Befana del 1970. La mostra, curata da Alessandro De Lisi e realizzata dallo studio “Venti caratteruzzi”, fa rivivere soprattutto le indagini dei Carabinieri uccisi a Palermo: il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il colonnello Giuseppe Russo, il capitano Emanuele Basile, il capitano Mario D’Aleo e il maresciallo Vito Ievolella. Nel percorso di parole e immagini, che sarà visitabile anche sul sito dell’Arma dei Carabinieri, ci sono pure stralci dei rapporti giudiziari degli investigatori assassinati dalla mafia.
«Questa mostra – scrive il generale Teo Luzi, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, nell’introduzione alla mostra - ci restituisce l’eco di un periodo drammatico della storia di Palermo, nel quale tuttavia spiccano le brillanti luci di alcuni Carabinieri, servitori dello Stato, che hanno creduto, a prezzo della vita, nella vittoria definitiva della giustizia. Assieme a colleghi di altre forze di polizia, magistrati, giornalisti, uomini delle istituzioni e della sana società civile sono stati pionieri e icone della lotta alla criminalità organizzata. Grazie alla loro intelligenza oggi possiamo parlare di mafia con cognizione di causa, scevri di qualsivoglia reticenza».
Maria Falcone, presidente della Fondazione intitolata al fratello, ricorda che «in occasione del Trentesimo anniversario delle stragi mafiose è indispensabile estendere, proseguendo il cammino di legami sociali con le più giovani generazioni e gli studenti italiani, il nostro comune impegno a favore di ulteriori strumenti di promozione culturale dei valori costituzionali. Questo progetto di design sociale per la memoria è un passo in questa direzione, certamente capace di rafforzare tale prospettiva di pedagogia civile».
Per la prima uscita, la mostra verrà allestita nel Foyer del Massimo di Palermo, ma anche nella cancellata del teatro, in piazza Verdi. «Un modo per far conoscere ai più giovani un pezzo di storia importante del nostro Paese – dice Salvo Palazzolo – bisogna raccontare le parole di chi ha lottato la mafia, per portarle avanti. Le parole di quegli straordinari investigatori sono di grande attualità, perché svelano come il fenomeno mafioso riesca ancora oggi a infiltrarsi nella società». Nella mostra ci sono stralci del rapporto in cui l’allora colonnello dalla Chiesa denunciava alla commissione parlamentare antimafia il ruolo dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino: «Già nel 1971, parlava del suo tesoro - dice Palazzolo – Nel 1974, il maggiore Russo indagava invece sul commercialista dei Corleonesi, Giuseppe Mandalari.
Nel 1979, dopo l’omicidio del commissario Boris Giuliano, il capitano Basile aveva compreso il ruolo di Antonino Gioè, uno dei mafiosi che poi faranno la strage di Capaci nel 1992». La mostra ripercorre anche le indagini del capitano D’Aleo, che dopo l’omicidio Basile, svelò l’ascesa del giovane boss Giovanni Brusca; il maresciallo Ievolella aveva invece già scoperto le alleanze dei Corleonesi a Palermo. Dice ancora il generale Luzi: «Questa iniziativa interpreta il prezioso lascito valoriale dei nostri martiri, confermando che la lotta antimafia si alimenta anche con la cultura, principale vettore dei valori di legalità soprattutto tra i giovani, protagonisti delle nuove stagioni, i quali con orgoglio stanno restituendo a questa terra la luce, la bellezza e la dignità della sua gente».
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