La storia di Rita Atria, la ragazza che si ribellò alla mafia
Sono passati 29 anni dalla morte della giovane testimone di giustizia
È il 26 luglio 1992. Sono trascorsi sette giorni da quando Cosa Nostra ha attentato alla vita del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta, appena due mesi dopo la strage di Capaci, in cui morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo nonché tre uomini assegnati alla loro incolumità.
Il 24 luglio il governo italiano dispone l’invio dell’esercito in Sicilia: il giorno seguente nell’Isola arriveranno più di centomila militari, uno scenario mai visto dai tempi del dopoguerra. Sono le condizioni in cui versa la nostra terra, dopo attacchi senza precedenti allo Stato e all’ordine pubblico da parte della criminalità organizzata. Le forze armate non lasceranno la Sicilia prima del luglio del 1998.
È in questa giornata di piena estate, in un palazzo di Roma, che Rita Atria compie il gesto disperato ed estremo che la strapperà alla vita. Prima di gettarsi dal suo balcone, al sesto piano, assume degli ansiolitici; il dolore per la morte di Paolo Borsellino è insopportabile, poiché era stato grazie al supporto del magistrato che Rita aveva trovato la forza di andare avanti nella sua testimonianza in favore della giustizia. L’abbandono da parte della famiglia, la solitudine nella capitale e il lutto per l’uccisione di Borsellino porteranno la ragazza a suicidarsi.
Rita Atria nasce e cresce a Partanna, in provincia di Trapani, in una famiglia mafiosa. Il padre, Vito Atria, è un pastore affiliato alla famiglia degli Ingoglia. Nel corso degli anni ‘80 Partanna diventa scenario di violente rappresaglie di mafia, nate tra due gruppi criminali contrapposti: gli Ingoglia e gli Accardo. Vito Atria viene assassinato nel 1985, nove giorni dopo il matrimonio del figlio Nicolò con Piera Aiello, in seguito divenuta anch’ella importante testimone di giustizia. Rita ha solo 11 anni, e la sua vita è già costellata di sangue e vendetta. Il 24 giugno 1991 anche il fratello Nicolò sarà assassinato: il delitto avviene durante un agguato nella sua pizzeria di Montevago, sempre per mano di Cosa Nostra. Sarà Piera Aiello a raccontare per prima ai giudici tutto ciò che sa della mafia nella sua comunità, e le sue dichiarazioni porteranno all’arresto di decine di persone.
Rita seguirà le orme della cognata e disvelerà a sua volta tutti i segreti del mondo da cui proviene. Una scelta che non sarà appoggiata né dalla madre, Giovanna Cannova, né dalla sorella, ma che secondo Rita rappresenta l’unica strada per vendicare l’uccisione dei congiunti. A soli 17 anni, Rita fa delle rivelazioni che porteranno allo scoperto persino le infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale del suo paese: la “traditrice”, presa sotto la ala protettrice di Borsellino e dei suoi colleghi, viene ripudiata dalla famiglia e da tutta Partanna. Per la sua sicurezza ne viene disposto il trasferimento a Roma, con una nuova identità e un servizio di protezione.
“Nella mia comunità è più grave parlare con un giudice che uccidere il migliore amico. Devi prima sconfiggere la mafia che c’è dentro di te per poter davvero lottare contro di essa. La mafia siamo noi, e il nostro modo sbagliato di comportaci” scrive Rita sul suo diario. Pagine che presto lasceranno spazio allo sconforto e alla rassegnazione. “Sei morto per ciò in cui credevi. E io, senza di te, sono morta”, aggiungerà dopo la strage di via D’Amelio, riferendosi a Paolo Borsellino.
I funerali di Rita Atria vengono svolti a Partanna. Non partecipa quasi nessuno, perché la diciassettenne “era solo un’infame, che ha fatto arrestare tante persone oneste”. “La verità vive” si legge sulla sua lapide, che sarà distrutta poco dopo. Non dagli uomini d’onore, non dalla manovalanza della malavita, ma dalla madre della ragazza. Giovanna Cannova riporterà una condanna per la profanazione della tomba della figlia, portata a compimento con un martello, l’ennesima punizione per la figlia ribelle e senza onore. Il tragico e assurdo epilogo di una storia altrettanto triste, che solo la memoria può aiutarci a riesumare. Rita Atria, “a picciridda”, è un esempio più unico che raro di coraggio antimafia, una giovane che ha preferito perdere tutto pur di non farsi scudo dell’omertà. Non ancora maggiorenne, ha sfidato la mafia, un sistema molto più vecchio di lei, dimostrandoci che questa diventa polvere se perde il suo consenso.
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