Boris Giuliano, 42 anni fa l’omicidio per mano di Cosa Nostra
Il poliziotto, capo della squadra mobile di Palermo, indagava da lungo tempo sui traffici illeciti dell’organizzazione criminale
PALERMO, 21 luglio – Siamo nel 1979. L’Italia e gli Stati Uniti rappresentano i due estremi di un redditizio e lunghissimo filo, il tragitto che gli stupefacenti compiono da una sponda all’altra dell’Atlantico, alternandosi al denaro.
Siamo nel pieno del fenomeno ribattezzato dall’FBI come “Pizza Connection”, che unisce Cosa Nostra siciliana e americana e viene reso possibile grazie ad attività come pizzerie e ristoranti, i quali fungono da copertura per il commercio della droga. Palermo, che da qualche anno si è riempita di raffinerie, rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per il nuovo business della mafia.
Le famiglie mafiose fanno a gara per immettersi nel nuovo mercato, e ciò provoca non pochi contrasti all’interno dell’organizzazione. Gli scontri hanno come protagonisti principali da una parte i Corleonesi, capeggiati da Totò Riina e Bernardo Provenzano, e dall’altra i clan del capoluogo (comprendenti i Bontate, i Badalamenti e gli Inzerillo): sono i primi attriti che presto daranno inizio alla seconda guerra di mafia. Ma Palermo vuole liberarsi, non vuole sottomettersi, e la magistratura e le forze dell’ordine lavorano senza sosta per garantire ai cittadini sicurezza e tutele. Dando battaglia al potere mafioso.
In prima linea vi è Boris Giuliano, poliziotto dalla carriera ventennale. Nato a Piazza Armerina nel 1930, consegue la laurea in giurisprudenza nel 1956 e dall’ottobre del 1976 è capo della squadra mobile di Palermo. Assume ben presto un ruolo di prim’ordine nelle indagini sulle lotte intestine a Cosa Nostra per il controllo del traffico di stupefacenti, soprattutto dopo le dichiarazioni che un uomo d’onore, Giuseppe Di Cristina, appartenente famiglia mafiosa di Riesi, comincia a rendere ai carabinieri l’anno prima. Il 7 luglio del 1979 i Corleonesi subiscono un duro colpo quando le forze dell’ordine trovano e smantellano un covo in via Pecori Giraldi. Il luogo fa senz’altro capo a loro, poiché al suo interno, oltre alla droga e alle armi, viene trovato un documento falso con la foto di Leoluca Bagarella.
Bagarella, cognato di Totò Riina, è il killer al quale il clan demanda sempre di “fare pulizia”. Il lavoro capeggiato da Boris Giuliano porta a risultati concreti e importanti, che lo faranno presto diventare bersaglio di svariate minacce di morte. E la condanna definitiva non tarda ad arrivare. È il 21 luglio del 1979, sono le 8 circa del mattino e Boris Giuliano si è appena recato presso il Bar Lux di via Francesco Di Blasi per fare colazione. Forse dopo aver sorseggiato un caffè, o forse dopo aver optato per un’iris alla ricotta, Giuliano viene raggiunto da alcuni colpi di una calibro 7,65.
Secondo le ricostruzioni giudiziarie del Maxiprocesso, iniziato sette anni dopo, è stato proprio Leoluca Bagarella a premere il grilletto e a dileguarsi senza lasciare traccia. Per l’omicidio sarà condannato all’ergastolo in quanto esecutore materiale del delitto, mentre ad altri membri della Cupola sarà inflitta la stessa pena per avere svolto il ruolo di mandanti: tra questi, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco e Bernardo Brusca. Tra coloro i quali contribuirono alla risoluzione del caso, il capitano Emanuele Basile, assassinato dalla mafia a Monreale il 4 maggio 1980.
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