I pupi raccontano, Peppino Vaglica e Michele Gulì: il fascino del “cuntu” e del “manìo”
Tracciamo un profilo di due personaggi del teatro dei pupi d’altri tempi
MONREALE, 20 agosto – Quella che mi accingo a raccontare è la storia di due monrealesi che, nel secolo scorso hanno avuto un contatto diretto e partecipato con il mondo del teatro dei pupi.
Sarebbe meglio dire che hanno avuto un ruolo da protagonisti, ma che sono stati spesso trascurati o addirittura dimenticati. Parlo di personaggi quale Giuseppe Vaglica raccontatore di storie che, non ritroviamo in nessun libro, ma nella memoria di chi l’ha conosciuto e ascoltato e di Michele Gulì maniante e combattente nel teatro dei pupi.
Ciò che mi spinge a scrivere sui due personaggi è la diretta conoscenza di un’esperienza legata al mondo delle storie tramandate oralmente e dell’opera dei pupi a Monreale. Un contributo personale che mira alla riscoperta di testimonianze vissute, memorie sopite che, altrimenti rischierebbero di cadere nell’oblio del passato. La riscoperta di una memoria collettiva, che non è da intendersi, sia chiaro, una sensazione nostalgica del passato per contemplarlo, ma la consapevolezza che nel segno degli avvenimenti, nella memoria appunto, si possano ritrovare le proprie radici.
Giuseppe Vaglica nacque a Monreale nel 1916, cresciuto nei vicoli del quartiere Carmine ebbe modo di ascoltare le storie dei paladini di Francia, probabilmente dalla voce dell’oprante Ignazio Munna, che, lo ricordiamo, aveva un teatrino nello stesso quartiere e negli anni seguenti sarebbe diventato suo suocero, poiché ha sposato la figlia Maria Anna. Per vivere ha fatto mille mestieri e dopo la seconda guerra mondiale ha gestito un dopo lavoro nel chiasso Cavallaro “o fosso” cosiddetto perché non vi è via di sbocco, luogo di svago per pensionati che trascorrevano il tempo libero giocando a carte o sorseggiando una gassosa.
Proprio in questo luogo Vaglica nei momenti di stasi e con gli amici più intimi cominciava u cuntu, così come ci ha riferito il ceramista Mario Lo Coco amico di uno dei suoi figli che ha assistito incantato e ne ha conservato la memoria. Peppino Vaglica ci conquistava con la storia dei paladini e le leggende - ricorda Mario Lo Coco - come la storia de “I giganti di Porta Nuova” o “La storia di Pietra Tagliata”.
Chi non è rimasto incantato di fronte al racconto di una fiaba o di una storia fantastica ansioso di conoscerne l’epilogo?
Chi di noi non ha provato rabbia di fronte alle ingiustizie subite dall’eroe o dal personaggio buono della storia salvo poi gioire quando alla fine prevale la giustizia e, il bene trionfa sul male? Egli possedeva una dialettica non comune e, una capacità di prendere per mano il suo pubblico e condurlo nei sentieri della fantasia, nei meandri delle storie che tesseva come una tela, tra sentieri polverosi percorsi dal calpestio degli zoccoli di cavalli, di valorosi cavalieri e colpi di spada su corazze ed elmi incantati.
Enfasi, capacità comunicativa, estro, conoscenza delle leggende, delle storie di briganti che tanto successo avevano tra il “popolino” erano le peculiarità che facevano del Vaglica un mattatore, un menestrello dei nostri giorni. Fino a qualche decennio fa, vi erano a Monreale molte trattorie e osterie, veri pub ante litteram, dove ci si riuniva per trascorrere qualche ora di tempo in compagnia di amici, per gustare i piatti tipici della nostra cucina tradizionale e, magari affogare in un bicchiere di vino le difficoltà della vita. Ad allietare le serate in questi locali, il Vaglica raccontava le storie cavalleresche, in un modo diverso rispetto ai cuntisti della vicina Palermo.
Un’innata abilità vocale, roca e coinvolgente e, i movimenti delle braccia associati al battere del pugno sulla tavola per segnare il ritmo erano le caratteristiche principali della sua arte; egli non si serviva della spada per i suoi racconti ma dell’impeto delle sue parole che alternava a brevi pause, evocando scenari fantastici e coinvolgenti.
Doti che in seguito avrebbe messo al servizio dell’opera dei pupi, negli spettacoli nel teatro sito nell’ex Convitto Guglielmo e nelle frazioni di Monreale. La figlia Rosalia racconta di aver assistito a una commossa e accorata recitazione del padre ne “La morte di Orlando a Roncisvalle” nel teatro sopra menzionato che, ha destato una grande ammirazione tra il pubblico.
Un tempo c’era la memoria orale a garantire la trasmissione, un ponte, un anello di congiunzione tra generazioni che oggi rischia di spezzarsi. Il recupero della nostra memoria passa attraverso la raccolta delle testimonianze che sono la fonte cui attingere per raccontare alle nuove generazioni la storia di uomini che, altrimenti andrebbero inesorabilmente dimenticati.
Il nipote Enzo, noto tipografo monrealese racconta che, negli anni successivi la seconda guerra mondiale, in una traversa della via Pietro Novelli e precisamente in Chiasso Di Bella, dove don Peppino Vaglica abitava con la sua famiglia, cuntava le storie di Orlando e Rinaldo, circondato di anziani e bambini e vicini di casa che si radunavano per il consueto appuntamento del tardo pomeriggio per ascoltare le storie del repertorio cavalleresco.
Tra le storie che prediligeva raccontare c’era la vicenda dei giganti di Porta Nuova, rivisitata e adattata al repertorio delle storie cavalleresche, la cui testimonianza ci è stata resa dal figlio Enzo che, ha assistito al racconto e che ci indica l’incipit alla maniera degli opranti: “mio padre cominciava il racconto con questi versi - ricorda commosso - All’armi all’armi, la campana sona, li turchi su arrivati a la marina e predisponendosi al racconto riusciva a creare un clima di attesa in noi ragazzi e anziani che, lo guardavamo incantati”.
La vicenda narrata risale al tempo della conquista della Sicilia da parte Normanni guidati dal conte Ruggero; egli raccontava che quattro terribili giganti stavano a guardia di una porta che chiudeva la città di Palermo, la famosa Porta Nuova. Tutti coloro che dovevano entrare nella città per vendere le loro mercanzie e i loro prodotti, frutto del lavoro dei campi, dovevano pagare un tributo ai terribili giganti. Il conte Ruggero, venuto a conoscenza del sopruso e bramoso di conquistare la città e toglierla al dominio degli arabi, decise di sferrare un attacco e affrontarli. Nello scontro, con un colpo della sua spada Balisarda tranciò di netto le braccia a due giganti e, imprigionò gli altri due che, si arresero di fronte all’audacia del valoroso guerriero, legandogli le braccia.
Porta Nuova, lo rammentiamo è stata edificata nel 1583 per volere del viceré Marcantonio Colonna, per celebrare la vittoria di Carlo V sui turchi e, i giganti rappresentano i Mori sconfitti, due dei quali hanno le braccia mozzate e due legate.
Nel più bello delle storie chiudeva il racconto con la frase: “e ora signuri mei ddocu a lassu e ‘natra vota va cuntu”, allo scopo di far ritornare lo spettatore, alla maniera dei cuntisti. La somiglianza dei volti dei giganti con le caratteristiche somatiche delle marionette saracene e, la rivisitazione delle vicende storiche accadute in epoche distanti tra loro, è oramai un fatto scontato ma, nell’immaginario collettivo degli ascoltatori la storia assumeva un significato verosimile; grazie soprattutto alla fascinazione delle parole e all’abilità espressiva che, facevano del nostro concittadino Giuseppe Vaglica un vero cuntista, al pari dei più famosi cuntisti della vicina Palermo.
Il trascorrere inesorabile del tempo e, l’incapacità dell’uomo moderno di preservare la memoria hanno reso più affievolite le sue doti e i suoi racconti che, sono un patrimonio da riscoprire e salvaguardare.
Michele Gulì nacque a Monreale nel 1914, egli non era figlio d’arte e, non si conoscono gli inizi della sua esperienza in ambito teatrale, ma spinto da una forte passione per l’epopea cavalleresca ha calcato le scene dei teatrini dei pupi diventando un valido maniante e combattente. Negli spettacoli dell’opera dei pupi, oltre al puparo che è il principale animatore, agiscono altre figure con mansioni diversificate, ma che concorrono in un gioco di squadra alla riuscita dell’esibizione, figure che a torto risultano spesso in ombra ma che invece hanno il merito con la loro abilità di rendere le azioni più ravvivate e naturalmente più apprezzate dal pubblico.
La principale mansione è stata la manovra dei pupi, che padroneggiava, distinguendosi per i gesti che faceva assumere ai paladini sulla scena. Nel libro in memoria di mio padre Enzo Rossi e, nel convegno sull’Opera dei pupi a Monreale di qualche anno fa, ebbi modo di riportare la personale e diretta conoscenza dell’esperienza di Michele Gulì e, dell’importanza del suo ruolo nel teatro dei pupi, troppo spesso trascurata o dimenticata.
Lo troviamo nel 1973 nel teatro dei fratelli Munna nel cortile Manin, diventandone un valido collaboratore, seguendoli nei vari luoghi dove la compagnia si esibiva. Assiduo frequentatore della bottega dove mio padre lavorava alla costruzione dei paladini, in via Termini nel quartiere Ciambra, sono stati legati dalla stessa passione per i pupi e da una grande amicizia, egli possedeva il paladino Rinaldo costruito da mio padre che, i figli custodiscono gelosamente, nel ricordo del proprio congiunto . Desidero raccontare un circostanza personale che, riguarda i rapporti intercorsi tra mio padre e Gulì.
Un pomeriggio d’inverno mi recai nella bottega e, li trovai in piacevole conversazione, mi accolsero con un calore che non dimenticherò mai, mi sedetti su una panca, mentre mio padre maneggiava un elmo che, adattava ad una testa di legno intagliata, “u Zu Michele” come affettuosamente lo chiamavo per l’affetto e l’ammirazione che provavo nei suoi confronti, cominciò a disegnare su un cartoncino, proprio l’elmo che mio padre aveva riposto sul banco da lavoro.
Mi incuriosì la sua bravura e, mi raccontò della sua predisposizione per il disegno e della sua frequentazione tra i banchi di scuola con l’illustre Benedetto Messina di cui tutti conosciamo le doti artistiche. Egli per ragioni economiche dovette abbandonare e trovare un lavoro, riservandosi negli anni il tempo per coltivare l’amore per l’opera dei pupi, sua grande passione.
Ricordo ancora, la tristezza impressa sul volto di mio padre dopo una visita a casa, nei giorni precedenti la sua dipartita e, la malinconia per la mancanza di un amico vero, con il quale aveva trascorso tanto tempo insieme, nella vita e nel teatro dei pupi. Un uomo d’altri tempi, una persona di sani principi, a cui va riconosciuto il merito di aver donato con la sua passione, un valido e apprezzabile contribuito al teatro dei pupi a Monreale.
Il mio personale ricordo, di una persona cara può apparire un mero discorso privato, ritengo invece che, per il ruolo di protagonista e grande sostenitore del teatro dei pupi, meriterebbe tutta l’ammirazione e il plauso della collettività monrealese.
Le foto ci sono state gentilmente fornite da Marcello Gulì, che ringraziamo
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