I pupi raccontano: Ignazio Munna, un uomo venuto da Trapani, capostipite dei pupari di Monreale

Ignazio Munna

Parte oggi una rubrica dedicata ad un’arte tanto nobile quanto ormai dimenticata

Diamo inizio ad una nuova rubrica curata da Benedetto Rossi - cultore dell’opera dei pupi e figlio del puparo monrealese Enzo Rossi - dedicata ai pupari storici di Monreale e a qualche puparo dell’area palermitana che ha avuto rapporti con l’ambiente monrealese nel secolo scorso. Apriamo questa interessante carrellata con l’oprante Ignazio Munna considerato il capostipite dei pupari di Monreale.

MONREALE, 23 giugno – La diffusione delle storie cavalleresche raccontate nell’opera dei pupi, si deve principalmente alla pubblicazione a dispense della Storia dei Paladini di Francia di Giusto Lo Dico, dell’editore-giornalaio Giuseppe Piazza, nel periodo che va dal 1858 al 1862, il cui costo era di cinque centesimi. Tale evento facilitò la diffusione delle storie paladinesche anche tra i ceti più bassi, che si avvicinarono con maggiore coinvolgimento ai teatrini. Nelle storie di Carlo Magno cantate nell’opera dei pupi, il popolo trovava il segno di un riscatto da una condizione di subalternità e di giustizia.

La storia dei paladini di Francia si basava sulla trasmissione orale da padre in figlio o da maestro ad allievo e, sicuramente la frequentazione di un ambiente ricco di tradizioni popolari ha influito sulla gente in maniera decisiva e ha permesso la fascinazione verso l’epopea cavalleresca.I luoghi dove si svolgevano gli spettacoli dell’opra erano generalmente umidi magazzini, alla fievole luce dei lumi a petrolio, provvisti di panche di legno, alle cui pareti vi erano appesi i caratteristici tradizionali cartelloni a scacchi dipinti su tela. Ogni riquadro rappresentava un episodio della storie cavalleresche che sarebbe stato messo in scena la stessa sera o nei giorni successivi. In questa sede intendo far conoscere agli appassionati e a coloro che, spinti dalla curiosità, presteranno attenzione, alcune sostanziali novità sull’argomento, frutto di ricerche condotte in questi ultimi mesi.

Alcuni documenti e testimonianze raccolti avvalorano la tesi che nel territorio di Monreale insistevano alcuni teatrini e, dunque, vi erano pupari che raccontavano la storia dei paladini di Francia. Nell’Archivio Storico di Monreale vi sono conservati atti che testimoniano la presenza di un teatrino in Pioppo, ubicato nella via “Santanna N 9 prescelto dal Signor Marino Giuseppe di anni 55 da Caltanissetta per essere adibito quale Teatrino di Marionette”, nel verbale redatto il 30 maggio del 1930 dalla locale stazione dei carabinieri, congiuntamente al medico condotto del luogo, si attestava l’idoneità di igiene, sicurezza e solidità, autorizzandone l’esercizio.

Successivamente il 27 marzo 1936 Isidoro Giannilivigni costruttore di pupi nato a Palermo il 10 novembre 1911 di professione marionettista, chiedeva al Podestà di Monreale l’autorizzazione temporanea di almeno trenta giorni, per poter gestire il teatrino di marionette nella “Borgata” di Pioppo - scrive il Giannilivigni - “dove di già è stato situato un apposito locale nella via del corso N 142” attuale via Provinciale, nelle vicinanze delle cosiddette case Giordano, dove - raccontano le cronache - soggiornò per una notte Garibaldi mentre il suo esercito, accampato nel Piano Renda, si apprestava a passare alla volta di Altofonte. Inoltre, un’anziana donna di Pioppo mi ha raccontato che negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, un pioppese di nome Giuseppe Melita detto “Sariddu” si dilettava a “cuntare” le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, storie che aveva sentito raccontare dai pupari che si esibivano a Pioppo con teatrini ambulanti.  

Ragioni di natura affettiva, che vanno dalla passione alla curiosità e, per aver sposato una nipote di Ignazio Munna, mi spingono a raccontare e collocare nella giusta prospettiva la figura di uno dei protagonisti dell’opera dei pupi di Monreale. In un’epoca in cui i pupari ricoprivano un ruolo rilevante nella società, la storia di Ignazio Munna, oprante e figura di primo piano nel panorama dell’opera dei pupi, merita di essere raccontata alle nuove generazioni e agli appassionati.

Tracciare il profilo umano e artistico di un uomo, la cui esperienza in ambito teatrale riguarda la frequentazione fin dalla giovane età dell’ambiente degli opranti e pupari di Trapani, sua città natale, non è semplice per la scarsa documentazione sull’argomento. Già nel convegno sull’opera dei pupi, dello scorso 27 aprile del 2015 svoltosi nella Sala Novelli nel Complesso Monumentale Guglielmo II, ebbi modo di condividere con gli intervenuti quanto appreso sul puparo Ignazio Munna basandomi sul racconto orale di mio padre e sulle poche notizie riportate da Antonio Pasqualino, noto studioso dell’opera dei pupi.

Ignazio Munna nacque a Trapani il 24 gennaio 1879, rimasto vedovo e col figlio Salvatore da accudire, si trasferì a Palermo nei primi anni del novecento dove il 21 giugno del 1917 contrasse matrimonio con la monrealese Caterina Cangelosi, classe 1896, come risulta dalla consultazione dei registri anagrafici. Dal matrimonio nacquero nove figli, dei quali, il primogenito Vincenzo nato nel 1916 ed il fratello Vito erediteranno il teatrino dell’opera dei pupi e l’arte della recita. La moglie, dopo la scomparsa del marito, si trasferì a Monreale nell’anno 1958, vicino al luogo in cui si trovava il teatrino. Egli si può definire oprante, perché univa all’abilità manuale nella manovra dei pupi, la capacità recitativa, occupandosi della preparazione del teatro. Compose i copioni per l’opra, come La distrutta di Agrigento, storia d’amore e di vendetta, quando nel 500 a.C. a dominare il mediterraneo erano i Cartaginesi; riscrisse a dispense alcuni poemi cavallereschi: La Rotta di Roncisvalle e Il Guidosanto, per citarne alcuni.

Ignazio Munna, oltre che oprante e autore di testi letterari scritti per l’opera dei pupi, fu funzionario dell’Ufficio del Registro di Palermo. Svolse l’attività di oprante fino al 1939 anno della sua scomparsa. L’ambiente in cui si formò il Munna è con ogni ragionevolezza quello dei pupari della Sicilia occidentale e più segnatamente quello di Trapani, dove il puparo Federico Lucchese, allievo di Gaetano Greco, emigrò ed era conosciuto dai trapanesi come “Don Fidiricu”, tanto che la strada dove insisteva il teatrino – come riferisce Gaspare Giannitrapani – era addirittura chiamata “ a strata di Don Fidiricu”. Don Federico Lucchese nel 1850 - racconta il Li Gotti - intratteneva il pubblico con giochi meccanici e di “pupi a filo”.

Quella dei Lucchese diventò una dinastia, dopo la morte di Don Fidiricu: il figlio Francesco Paolo continuò a fare spettacoli con i pupi, e alla scomparsa di quest’ultimo, il figlio “Don Carluzzu” fu popolare a Trapani. Ignazio Munna svolse l’apprendistato presso il puparo don Francesco Giarratano da Terrasini, di cui si conosce ben poco, ma riconosciuto dagli studiosi quale uno dei più abili costruttori di pupi, si distinse per le sue armature decorate a sbalzo.

Antonio Pasqualino medico antropologo, grande conoscitore dell’opera dei pupi, riferisce che aveva un teatrino all’Albergheria nel 1885, e poi in via Noce a Palermo, svolse l’attività di oprante anche a Cinisi, quindi, nell’area più strettamente palermitana, morì poco prima della seconda guerra mondiale. Non conosciamo cosa abbia spinto il Munna a impiantare un teatrino dell’opera dei pupi nel cortile Manin nel quartiere Carmine, né quale circostanza abbia indotto la scelta del nostro territorio, tuttavia è facile ipotizzare che sia stato decisivo l’incontro con la famiglia monrealese della moglie. Oppure, possiamo riferirci a quanto raccontato lo scorso novembre dalla monrealese Anna Basile, la quale racconta che il padre, Basile Domenico, insieme al nipote Tumminello Filippo, creò una società e acquistò l’occorrente per un teatro dei pupi, impiantandolo nella “vanedda” che dalla Chiesa di San Francesco porta in via Roma; per eseguire gli spettacoli fu chiamato il puparo Ignazio Munna, come grande conoscitore del repertorio cavalleresco, il quale, ogni domenica e a volte anche il sabato, allietava grandi e piccini con il racconto delle gesta dei valorosi paladini. In seguito, egli stesso acquistò tutto il materiale marionettistico occorrente per il teatro.

Di Ignazio Munna, mio padre Enzo Rossi - che da bambino frequentò il suo teatrino nel cortile Manin - mi raccontava della sua voce dal timbro baritonale e coinvolgente che, egli stesso, negli anni successivi imitava sulla scena. La qualità della sua voce associata alla capacità di coinvolgere il pubblico con i racconti delle storie dei paladini di Francia facevano di Ignazio Munna uno dei più bravi opranti dell’epoca. Gli spettatori più fedeli partecipavano emotivamente allo spettacolo, unico svago di quel tempo, sorseggiando una gassosa per togliere l’arsura provocata dalla calia e simenza il solo prodotto offerto dalla “buvette” del popolare teatrino.

I nostri nonni, gli anziani, la gente comune, rigorosamente maschile, dopo una dura giornata di lavoro, si appassionava alle avventure sapientemente raccontate dal Munna. Anche i ragazzi assistevano alle gesta dei paladini di Francia, lasciandosi ammaliare dalle storie cavalleresche raccontate dalla viva voce dell’oprante, al punto di identificarsi con gli eroi, simulandone le azioni durante i giochi di strada.

A don Ignazio Munna va il merito di aver gettato le basi, di una tradizione che ha avuto nei figli Vincenzo e Vito e, in mio padre Enzo Rossi i più validi sostenitori di una memoria da tramandare alle future generazioni. Per la grande importanza che ha avuto per Monreale la presenza di alcuni teatrini dell’opera dei pupi e in virtù dell’attività svolta dai personaggi menzionati in questa rubrica, sarebbe auspicabile che i rappresentanti istituzionali della nostra città assegnassero loro un toponimo. Meglio ancora li inviterei a chiamare il cortile Manin con la sottodicitura in lingua siciliana, Il cortile di l’Opra di pupi, espressione tanto cara al Pitrè, in memoria dei pupari di Monreale, come legittimo riconoscimento da parte della collettività monrealese.