Lettera aperta di un ragazzo ai suoi coetanei, nel mese più iconico dell'anno
MONREALE, 2 maggio – Capite davvero che la monotonia sta uccidendo la quotidianità quando non sapete più che giorno sia. E vi sentite persi, vi state sentendo persi, ed annaspate ogni giorno a fatica in questo plumbeo mare di pessimismo, aspettando il “tana libera tutti” da una qualche conferenza del premier Conte.
È capitato e sta capitando anche a me ma, grazie alla sezione ricordi di instagram - quella che ti fa vedere anniversari di vecchie storie o post pubblicati, mi sono accorto che, più in sordina che mai, siamo entrati nella settimana più piena dell’anno, che la quarantena e tutto ciò che ne è conseguito hanno reso piatta e uguale a tutte le altre. Siamo entrati nel mese di maggio, e ciò, per noi monrealesi, è sinonimo della Festa. E puoi togliere tutto ad un monrealese, ma la Festa... quella no. Rivedendo quelle immagini, sono stato toccato da tantissime emozioni, molte delle quali difficili da spiegare a parole. Era tutto così facile, così sicuro di accadere e sicuro da fare, così lontano da ciò che vedo e vediamo oggi. Tutto così dannatamente normale. La confusione tra le vie della città, le giostre, le uscite con gli amici e con la famiglia, eventi e situazioni che si andavano a conservare nel contenitore di ricordi legati a questo periodo dell’anno dentro al mio cuore. Sembra passata una vita, ed invece è passato solo un anno. Probabilmente diremo la stessa cosa l’anno prossimo, quando potremo di nuovo vedere le illuminazioni sopra le bancarelle, guardare la processione dal balcone di qualcuno, mangiarci un panino con la milza alla meno peggio seduti in qualche scalinata del Belvedere. Però, niente sarà più come prima.
Tutta questa situazione ci ha indelebilmente marchiati, macchiati di un’esperienza che ci deve veicolare non ansia ed incertezza del futuro, ma anche e soprattutto fiducia e speranza. Se abbiamo battuto questo, possiamo battere anche il Barcellona. Voglio però lasciarvi con un invito. Sta a voi scegliere se accettarlo o meno. Un invito che consiste non nel cambiarci, ma nel migliorarci. Che consiste nell’evitare inutili diatribe con il prossimo, nell'aiutarci a vicenda, in qualsiasi situazione. Nel non dare niente per scontato, nell’apprezzare anche le cose più piccole e viverle al meglio, perché non sai quando e se torneranno. Nell’accettare il prossimo, nel fare più cose possibili, anche quelle che a primo impatto ci scoccia fare, e - se si ha la possibilità - farle con le persone che amate e che reputiamo amiche, partner, fratelli, cugini (o congiunti).
Nel rendere la nostra vita imprevedibile, nell’accettare le sconfitte, festeggiare le vittorie, nel costruirci un futuro per noi e per chi verrà dopo e vivere il presente insieme a chi, quel futuro, ce l'ha costruito. Nel divertirci come matti, nell’innamorarci, nel fare cavolate e nel rendere ogni attimo unico. Vivendo questi giorni in casa e si comprende ciò che è veramente importante, i valori e gli affetti. Fra qualche mese, si spera, torneremo alla normalità, una normalità diversa. Consci di avercela fatta e di aver appreso una lezione, una vera lezione di vita, tra plexiglass e mascherine. E quando lo rivedrò, rivedrò il nostro “patruzzu amurusu”, saprò di aver vinto. Magari grazie a lui, sicuramente grazie a noi. Ed i prossimi fuochi d’artificio li vedremo in piedi in piazza a notte fonda, più che sentiti dal balcone di casa. Spero che accettiate l’invito.
* 3 B scientifico - Liceo "Basile"