MONREALE, 19 agosto – Ormai non le contiamo più e in tutta franchezza anche questo articolo ci sembra, purtroppo, quasi come un disco rotto. Di giornate nere per il territorio monrealese ne abbiamo viste e raccontate tante.
Tutte con un unico comun denominatore: la mano criminale di qualcuno che decide di devastare i nostri boschi, infischiandosene, non soltanto delle conseguenze future, quelle che vedranno il nostro territorio impoverito pure per i nostri figli, (compresi quelli dei criminali) ma pure di quelle attuali. Quelle che mettono a repentaglio vite umane, quelle degli animali, quelle dell’ecosistema, l’integrità delle case e così via discorrendo.
E proprio perché ne abbiamo viste e raccontate tante, sappiamo che il percorso è sempre lo stesso: terrore al momento dell’incedere dei roghi, indignazione il giorno dopo, rabbia che progressivamente si attenua e poi poco altro. Anzi, poi forse più nulla. A questa sequenza siamo abituati ed a questa sembra abituata pure l’opinione pubblica.
Purtroppo, però, ciò che ci sembra una costante, ripugnante ed abietta, è la sensazione di impunità che sembra far veleggiare col vento in poppa i criminali (impropriamente chiamati “piromani”) che appiccano il fuoco.
Chi devasta il territorio, in pratica, sa che non gli succederà nulla e che la prossima volta potrà fare allo stesso modo, fresco e pettinato, perfettamente consapevole che, come al solito, la passerà liscia.
Eppure basta farsi un breve giro sui social, pur non essendo Sherlock Holmes o il tenente Colombo, per avere le idee un po’ più chiare sulla paternità dei roghi e a chi appartenga la mano criminale di chi incendia. Più di un post su facebook potrebbe risultare, se non illuminante, certamente molto significativo.
Se poi, anzichè far prevalere la nostra atavica e proverbiale omertà, decidessimo di “fare gli sbirri” e di dire ciò che sappiamo, ciò che tanti sanno, ma che non dicono, forse avremmo dato il giusto e decisivo contributo alla risoluzione del problema. Forse qualcuno non avrebbe più la certezza di non pagare dazio alla sua follia criminale. Forse qualcuno si toglierebbe il vizio.
Queste righe, però, le scriviamo un po’ con la "morte" nel cuore e con la quasi certezza di predicare nel deserto, sapendo di essere di fronte ad un’utopia. Riteniamo, però, che non ci sia altra strada e che la scelta di parlare, di cantare, di vuotare il sacco, di “fare gli sbirri” sia una scelta obbligata. La goccia scava la pietra e questa pietra, prima o poi, mostrerà il buco.