MONREALE, 9 agosto - In un paese dove non hanno pace manco i morti (e le dolenti traversie dei cimiteri di Monreale e di San Martino delle Scale ne sono una testimonianza) è difficile farne trovare agli alberi. Che ad agire sia la mano dei piromani o dei vandali.
Vedere divelta una pianta rigogliosa che da tanto tempo cresceva in piazza Guglielmo e ne abbelliva il panorama è un fatto che ci addolora molto, ma che - soprattutto - ci indigna. Magari saremo anacronistici, in un’epoca in cui non ci si stupisce e non ci si indigna più di nulla, magari a qualcuno strapperemo pure un sorriso di commiserazione, ma ci viene difficile provare uno stato d’animo diverso.
Quella pianta era lì da chissà quanto e contribuiva, con la sua presenza, a rendere più gradevole il paesaggio circostante il duomo normanno, patrimonio dell’Unesco. Non c’era motivo alcuno per spezzarla, decretandone una fine quasi certa, che solo un intervento accurato, paziente e difficile potrà evitare.
Il problema, purtroppo, al di là del gesto esecrabile, è ben più grosso. Non siamo affatto in presenza soltanto di una ragazzata, di una bravata compiuta da ragazzini maleducati. Dobbiamo ammettere che siamo di fronte ad un fenomeno più articolato, che è quello del vandalismo immotivato e fine a se stesso che crea solo danni alla città, ai suoi arredi urbani ed arreca enorme disturbo ai residenti. Chiedere agli abitanti del quartiere Ciambra per conferma, che la notte si trasforma nel Bronx o a quelli della zona del Canale, che nelle stesse ore diventa l’autodromo di Monza o di Imola.
È fin troppo facile argomentare, in ossequio al detto che dice che “il pesce puzza sempre dalla testa”, che le colpe vadano ricercate nei valori o forse sarebbe meglio dire negli “ex valori” che le famiglie non riescono più ad impartire. Probabilmente qualche anno fa qualche sano ceffone avrebbe fatto schiarire molte idee ai giovani in cerca di avventure, mentre ora quasi quasi ci si compiace della temerarietà del gesto. Tanti anni fa forse i padri avrebbero chiesto scusa per la bravata del figlio, ora, invece, per dirla in siciliano, “nni vonnu avanzu”.
Se queste sono le idee nuove, viva quelle antiche. Piuttosto, dato che le famiglie non riescono più a mettere un freno a questo preoccupante andazzo, speriamo che lo facciano le istituzioni: sistemi educativi sì e senza problemi, ma anche e soprattutto metodi coercitivi. Telecamere, controlli o qualsiasi altro mezzo. Si faccia qualcosa per non cadere ancora più in basso di quanto non lo siamo già.