Quelle meraviglie che vincono l’abitudine e ci emozionano sempre

I monumenti di Monreale incantano in TV il pubblico di Raiuno

"Mirabilia!" direbbero i Latini. "Cose meravigliose", capaci di suscitare un sentimento vivo quanto improvviso di ammirazione, di sorpresa, dinanzi a quanto appaia alla vista straordinario, inaspettato. "Opere mirabili", che suscitano ammirazione per pregio, bellezza, importanza o rarità. “Opere stupefacenti“, bisognose, tuttavia, di occhi che sappiano ancora stupirsi!

E noi, siamo capaci, oggi, di stupirci o abbiamo, forse, e da troppo tempo, indossato gli “occhiali” di una quotidiana normalità? Sappiamo cercare, scoprire, vedere la bellezza che ci circonda, che ci accarezza lo sguardo e ci eleva nell'intelletto e nello spirito? Sappiamo meravigliarci, se le "mirabilia", le meraviglie, sono costantemente dinanzi ai nostri occhi? Ci siamo abituati alla bellezza, forse, in questo nostro tempo spesso cupo e gramo, fino a non vederla più?

In onda in prima serata su RAI1, scorrono le immagini del patrimonio monumentale di Monreale, abilmente narrato da Alberto Angela, nella trasmissione "Meraviglie - La penisola dei tesori", dedicata ai siti monumentali italiani riconosciuti dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Nella mente, intanto, si affastellano questi e altri interrogativi.

Il noto divulgatore descrive i monumenti della nostra città, come ospite che, giunto in visita presso una dimora, si complimenti con i padroni di casa per la sua bellezza. Nel farlo, ce ne mostra un lato nuovo, rinnovato, perché osservato con occhi "ingenui", nel più puro significato etimologico del termine: "ingenuo", che nasce da dentro, naturale, istintivo.

La narrazione di Alberto Angela restituisce valore di eccezionalità a quello spazio fisico che per noi è semplicemente “casa”. Lo riporta alla sua dimensione di monumento, cioè "monumentum", ricordo.

Dismessi, dunque, gli occhiali della mera quotidianità, non resta che permettere che a raccontare le bellezze della nostra città, nostra dimora, siano altri occhi e tornare a stupirci di fronte alle "meraviglie" che ci appartengono, di cui siamo parte, che sono il nostro più prezioso patrimonio, eredità che si trasmette "di padre in figlio". In un tempo che ci ha imposto troppo a lungo una forsennata quanto insensata corsa verso il futuro, non resta che fermarsi e lasciarsi travolgere da un sentimento di profonda ammirazione per ciò che di unico e straordinario ci circonda, memoria del passato, testimonianza concreta di esso.

La parola "monumento" condivide la propria radice etimologica con "ammonimento". Entrambe le parole derivano da "monere", ricordare. Entrambe si riferiscono al ricordo: l'una come traccia tangibile, l'altra come avvertimento, indicazione di un atteggiamento morale dinanzi alla memoria: essa va ammirata, ma anche protetta. Noi siamo il nostro passato. Ne dobbiamo essere custodi responsabili nel presente. Lo dobbiamo condurre con noi integro, come bagaglio prezioso per il viaggio verso il futuro.

Così, come per la prima volta, gli occhi "custodi di meraviglie" si abbeverano del fulgore dei mosaici aurei della Cattedrale, che si schiude come scrigno al lento e solenne aprirsi del portale bronzeo. Naturale è l'abbandono nell'abbraccio benedicente del Cristo Pantocratore. Le suggestioni emotive si rincorrono attraverso le curve dei capitelli e le rette geometriche degli intarsi delle colonne del Chiostro. Ci riappropriamo delle tracce del passato: pietre, marmi, metalli pregiati e smalti si fanno suoni, profumi, melodie linguistiche di un tempo che è "inciso" nel nostro DNA, come genetica di identità culturale. E anche io mi lascio trasportare da un'onda di meraviglia e il "naufragar m'è dolce in questo mare!"