Michail Gorbaciov e i tempi della guerra fredda e della perestroika

Il presidente Usa, Ronald Reagan e Michail Gorbaciov in una foto degli anni '80

Un ricordo dell’ultimo leader dell’Unione Sovietica scomparso ieri e di ciò che succedeva a Monreale

Sarà l’effetto degli “anni del liceo”, del tempo passato che sempre più li allontana rendendoli più dolci; sarà pure che li abbiamo vissuti con libertà e spensieratezza in attesa di diventare maggiorenni e “grandi”, ma io gli anni in cui Gorbaciov aprì nuove prospettive e nuove speranze per un mondo migliore me li ricordo bene.

Era il tempo della guerra fredda, più sporca delle guerre vere perché ha avvelenato e continua ad avvelenare le anime. Mamma Berti a metà anni ‘80 a ragione cantava “a voi Russi e Americani io non delego il mio domani”. E lui, Michail Gorbaciov, ebbe la capacità di dare speranza a tutte le mamme che temevano per il futuro dei propri figli. Riuscì a far passare un principio sessantottino: era meglio far l’amore e non la guerra, tanto più se con testate nucleari.

Ricordo che si cominciò a credere che la ruota della storia stesse finalmente girando per il verso giusto. Bastarono due parole per esprimere il suo programma: introdusse nel vocabolario della politica mondiale due parole chiave: glasnost e perestroika, ossia, trasparenza e ricostruzione. Esattamente queste furono alla base di enormi cambiamenti nel mondo intero. Ricordo, come se fosse ora, la trepidante attesa per la firma degli accordi preparati ad Helsinki. Quei tratti di penna e quella poderosa stretta di mano a Washington tra Reagan e Gorbaciov l’8 dicembre del 1987 diedero vita davvero ad una nuova stagione. A Monreale, nel nostro piccolo, in quei giorni, per il desiderio di incoraggiare la prospettiva che emergeva, organizzammo una fiaccolata per la pace. Ricordo in particolare l’impegno del compianto Enzo Galati, allora commissario della DC, la passione e la capacità organizzativa della nostra mitica FGCI, di tante associazioni cittadine, delle parrocchie e soprattutto dei ragazzi del liceo Basile e dell’istituto d’arte D’Aleo, allora entità separate.

I ragazzi dell’istituto d’arte realizzarono in carta pesta i due missili, il Pershing e il Cruise che l’accordo riduceva enormemente dimezzandone gli arsenali nucleari. (A guardar oggi viene spontaneo chiedersi se in oltre 35 anni ci sia stata una evoluzione o piuttosto una regressione del genere umano). Al termine del corteo, in piazza Guglielmo, i due missili che avevano sfilato quasi fossero in rampa di lancio, furono bruciati da oltre un paio di migliaia di fiaccole accese. Fu molto significativo che nessuno volle sottrarsi dall’alimentare quel fuoco che, senza dubbio, in molti di noi temprò le nostre emozioni e i nostri valori più profondi. Tutti indistintamente volevamo la pace, il disarmo e che finisse la “guerra fredda”. Per questo tutti abbiamo voluto bene a Gorbaciov. La sua semplicità, la sua normalità, rarissima nei potenti, ne faceva un uomo amabile. Lo stesso suo amore che traspariva verso la moglie Raissa lo rendeva ancor più una persona perbene. (Altro che ipocrisia da family day dei pluridivorziati).

Un po’ tutti, tranne quelli di coccio, avevamo capito che non era più la retorica degli innumerevoli Rocky che ci poteva rassicurare ma l’impegno di un uomo che stava provando a rigenerare un sistema che dinanzi alla storia si era rivelato oppressivo ed ingiusto. La ristrutturazione, la ricostruzione di un sistema inefficiente non funzionò e ciò accelerò una crisi già irreversibile da anni, che avrebbe portato al disfacimento dell’URSS. Intanto, però ci fu il tempo per vedere cadere il muro di Berlino, per vedere lo sgretolamento delle dittature perfino familiari che si erano coperte di finta ideologia nell’est Europa. Erano saltati equilibri, veti e controveti di dubbia ragionevolezza. Si aprirono nuove prospettive perfino nel sud più a sud del mondo. In Sudafrica, dopo 29 anni di carcere, veniva liberato Nelson Mandela e con lui l’idea, per troppo tempo repressa, che tutti gli uomini siano uguali anche se hanno pelle di colore diverso.

Di li a poco sarebbe di fatto venuto meno anche la più vergognosa politica di discriminazione razziale: l’apartheid. Il tentativo di Gorbaciov però non ebbe il successo sperato. Chi avrebbe potuto sostenere il percorso verso un mondo migliore non fece la propria parte. Anzi, anzi! Servirono a poco anche i numerosi riconoscimenti internazionali, compreso il nobel per la pace. Sottolinearono soltanto la grandezza di un uomo che aveva avuto il coraggio perfino di sfidare il proprio comodo destino di uomo tra i più potenti al mondo. Ed anche in ciò è stato il segno della sua grandezza. La stessa sua uscita di scena, vittima del processo da lui stesso avviato, è segno della sua statura non comune. Alla fine però, come dimostreranno questi giorni di encomi unanimi e lacrime di coccodrillo da campagna elettorale, credo che Gorbaciov abbia in qualche modo vinto. Il come stiamo vivendo intimamente la sua perdita già lo dimostra.

Mi piace immaginare che, forse, in quegli anni si sarà chiesto che senso abbia avere in mano un potere incommensurabile e usarlo solo per conservarlo, non provando a migliorare le cose. Si sarà pur chiesto: Che senso ha essere un potente temuto e non amato? Ha scelto la via più faticosa e difficile: il rischio di mettersi in gioco. Avrà pur pensato che, In fondo, se si viene sconfitti resta di certo l’amarezza ma almeno non è morto nessuno. Gorbaciov, anche per questo ti ho (e credo ti abbiamo) voluto bene. Nella certezza che l’impegno in ragione di un mondo migliore in ogni angolo del globo non verrà mai meno, e in te ha avuto un grande esempio, riposa in pace.

* ex deputato nazionale