Piana degli Albanesi, oggi ricorre il 75esimo anniversario della strage di Portella della Ginestra

Rimasero uccise 11 persone e ferite altre 27. Nessun mandante ha mai pagato per il massacro

PIANA DEGLI ALBANESI, 1 maggio  – Si è tenuta stamattina a Piana degli Albanesi la commemorazione per il 75esimo anniversario della strage di Portella della Ginestra, in cui a sparare furono il bandito Salvatore Giuliano e altri uomini della sua banda, non senza un "aiuto superiore" da parte di pezzi deviati dello Stato, come emerso dalle successive ricostruzioni.

Il 1 maggio 1947 circa duemila cittadini si erano riuniti per celebrare la Festa dei Lavoratori e festeggiare la vittoria del Fronte Popolare, dati i risultati elettorali ottenuti il 20 aprile precedente dall'alleanza tra Partito Socialista e Partito Comunista italiani. Una grande folla occupava la piana tra i monti Kometa e Pizzuta, per portare a termine una dimostrazione di protesta che intendeva condannare il latifondismo; un comune cittadino, Giacomo Schirò, che di mestiere faceva il calzolaio ed era anche politicamente impegnato poiché segretario di una sezione socialista locale, aveva intrapreso il suo discorso quando le persone iniziarono a essere colpite dai proiettili.

L'inizio della carneficina era stato scambiato per giochi pirotecnici, ma successivamente ai colpi d'arma da fuoco si aggiunsero le bombe a mano e i primi manifestanti cominciarono a cadere vittime del piombo mafioso. Sarà Salvatore Giuliano stesso, nel 1948, a scrivere una lettera al giornale "l'Unità" sostenendo che l'attentato fosse stato organizzato (e armato) da illustri uomini politici: Giuliano sarà a sua volta ucciso il 5 luglio 1950, ufficialmente in uno scontro a fuoco con alcuni carabinieri, nella realtà dei fatti da Gaspare Pisciotta, il suo luogotenente.

Di questo avviso fu anche il pluripremiato giornalista Tommaso Besozzi, che tra le righe de "l'Europeo" pubblicò un articolo intitolato "Di sicuro c'è solo che è morto" riferendosi al "Turiddu Re di Montelepre". Le reazioni della Cgil alla strage di Portella della Ginestra non si fecero attendere: venne indetto uno sciopero generale e il sindacato dichiarò che i latifondisti volessero soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori. Intanto al processo di Viterbo Gaspare Pisciotta puntò pubblicamente il dito contro Bernardo Mattarella, Mario Scelba, Tommaso Leone Marchesano e Gianfranco Alliata ma ciò non fu sufficiente a far condannare altri soggetti oltre Giuliano e i suoi; Pisciotta aveva intenzione di rendere delle dichiarazioni in merito alla strage anche a Pietro Scaglione, magistrato a sua volta assassinato da Cosa Nostra il 5 luglio 1971, ma venne avvelenato con della stricnina nel carcere dell'Ucciardone il 9 febbraio 1954.

La violenza politico-mafiosa uccise il 1 maggio 1947  ben 11 persone: Margherita Clesceri, Giorgio Cusenza, Giovanni Megna, Francesco Vicari, Vito Allotta, Serafino Lascari, Filippo Di Salvo, Giuseppe Di Maggio, Castrense Intravaia, Giovanni Grifò, Vincenza La Fata ed Emanuele Busellini, mentre altre 27 rimasero gravemente ferite nell'agguato. Questa è una piccolissima parte delle innumerevoli vittime che la mafia in Sicilia ha mietuto in seno alle lotte contadine e operaie, nel tentativo di sedare qualsiasi rivolta popolare che non volesse soccombere alla prepotenza e alla criminalità di baroni, campieri e proprietari terrieri. Sacrifici che vanno tenuti a mente per sempre, perché è grazie a questi se il nostro popolo, il popolo siciliano, possiede dignità da vendere.