40 anni senza il capitano Basile, ma il suo messaggio è sempre vivo

Il capitano dei carabinieri, Emanuele Basile

L'ufficiale fu freddato nel corso dei festeggiamenti in onore del SS. Crocifisso

MONREALE, 3 maggio – Sono già passati 40 anni. 40 anni che sono sembrati un’eternità, ma che hanno insegnato tanto. Sono quelli trascorsi da quando fu assassinato a Monreale il capitano Emanuele Basile, comandante della locale compagnia dei carabinieri.

Un uomo il cui destino era da tempo segnato. Che “doveva” essere eliminato per l’attenzione delle sue indagini, per il rigore con cui le conduceva, ma soprattutto per i grandi risultati che stava ottenendo. È parere comune, infatti, che Basile fu tra i primi a capire la pericolosa ascesa del clan dei corleonesi e l’importanza della loro influenza sui traffici illeciti, a partire da quello della droga.
La sua eliminazione, quindi era “necessaria”. Ed anche con modalità eclatanti: non con un semplice agguato, ma con una eliminazione effettuata in maniera plateale e teatrale, davanti a tutto il paese, a tutto il paese in festa per il SS.Crocifisso. A fu allora, quindi, che entrò in funzione il commando.
Il capitano Emanuele Basile, quella sera, dopo aver partecipato ad un ricevimento che il Comune aveva dato al Palazzo di Città, seguito dalla processione per il tradizionale omaggio della cittadinanza al simulacro di Cristo in Croce, verso le due di notte, in compagnia della moglie Silvana e della figlia, in attesa dei fuochi d’artificio, percorreva la via Pietro Novelli. Di lì a poco, però, gli unici spari che si udirono, purtroppo, furono quelli di un'arma da fuoco. L’ufficiale venne colpito alla schiena, mentre teneva in braccio la figlioletta Barbara, che allora aveva appena quattro anni.


Gli assassini si erano confusi tra la folla, aspettando l'arrivo della vittima a piazza Canale. Sapevano con certezza che l'ufficiale sarebbe passato da lì. Spararono numerosi colpi fra la gente, diretti al capitano. La moglie sfuggì all'agguato per miracolo: fu salvata dall'agendina d'argento conservata nella sua borsa. Dopo aver cercato di rianimare il consorte, non poté fare altro che raccogliere la figlioletta tramortita, con la manina sporca di polvere da sparo. Il capitano Basile venne trasportato in un ospedale palermitano, dove i medici nel tentativo disperato di salvargli la vita lo sottoposero d'urgenza ad un delicato intervento chirurgico. Morì nel corso dell'operazione, lasciando nel dolore la famiglia e lo stesso Borsellino, corso in ospedale.
Ad uccidere l'ufficiale ci pensò un commando composto da Vincenzo Puccio (poi assassinato nel carcere dell'Ucciardone a colpi di bistecchiera), Armando Bonanno (successivamente «inghiottito» dalla lupara bianca) e Giuseppe Madonia, della «famiglia» di Resuttana. A fornire il supporto logistico, invece, fu Giovanni Brusca, così come egli stesso ammise.
Domani, a causa delle restrizioni finalizzate a contenere il contagio da Covid-19, non si terrà la solita cerimonia commemorativa. A piazza Canale, luogo dell’eccidio, solo una breve e silenziosa deposizione di una corona d’alloro tenuta dall’Arma dei carabinieri, alla presenza del sindaco Alberto Arcidiacono.