Non ci fu favoreggiamento aggravato, prosciolto Guido Ferrante

Si conclude il lungo incubo giudiziario per il poliziotto monrealese

PALERMO, 14 luglio – Non ci fu favoreggiamento aggravato nei confronti della consorteria mafiosa di corso Calatafimi. Con questo importante pronunciamento finisce dopo quasi dieci anni l’incubo giudiziario per il poliziotto monrealese Guido Ferrante (nella foto), sul cui capo gravava questa pesante accusa.

A stabilirlo è stata la sentenza della prima sezione penale della Corte d’Appello del tribunale di Palermo, presieduta da Adriana Piras, che scagiona Ferrante e mette fine alla sua lunga e pesante vicenda giudiziaria.
Tecnicamente, l’insussistenza dell’aggravante consente al poliziotto, difeso in questi anni dall’avvocato Luca Inzerillo, di beneficiare della prescrizione, poiché, proprio in virtù del venir meno di questa condizione, contro di lui non si potrà procedere. Il principio che passa, comunque, è importante: Ferrante non volle agevolare Cosa Nostra. Di parere opposto, invece, era stato il tribunale di primo grado, che nel luglio del 2018 lo aveva condannato a sei anni di reclusione. Adesso, quindi, in secondo grado, arriva la sentenza che riabilita il poliziotto. Peraltro, anche in sede di dibattimento anche il procuratore generale aveva chiesto il proscioglimento.


Ora, però, la difesa pensa ad impugnare la sentenza odierna in Cassazione. Obiettivo è quello di un’assoluzione con formula piena “perché il fatto non sussiste”. Particolare, questo, che al di là dell’importante valore simbolico, metterebbe Ferrante in una posizione di forza nella vicenda del procedimento disciplinare che è in corso a suo carico e che non si è ancora concluso proprio perché non si era ancora conclusa la vicenda penale.
Facendo un passo indietro, secondo l’accusa, nell’indagine partita nel 2010, Ferrante avrebbe consigliato il pasticcere palermitano Salvatore Albicocco a pagare il pizzo. Con questa accusa era finito ai domiciliari con l'accusa di favoreggiamento aggravato e omessa denuncia di reato. Ad indagare sulla vicenda, erano stati i piemme Francesco Del Bene, Amelia Luise e Gianluca De Leo.