Mafia, il pentito ''eccellente'' Giovanni Brusca torna in libertà
Stava scontando in tutto 26 anni di reclusione, in virtù della sua collaborazione con la giustizia
PALERMO, 1 giugno – 26 anni di carcere e altri 4 di libertà vigilata: è questa la pena complessiva per Giovanni Brusca, storico membro di Cosa Nostra, capo della famiglia di San Giuseppe Jato e uomo di fiducia di Totò Riina e Bernardo Provenzano, oggi 64enne.
Dopo anni di richieste di concessione degli arresti domiciliari, e in seguito a un primo rifiuto da parte della Cassazione di interrompere la sua detenzione prima del 2022, Brusca ha definitivamente saldato il suo debito con la giustizia ed è tornato in libertà circa un mese e mezzo prima della data prevista.
Ma non è la prima volta che i cancelli del carcere di Rebibbia si aprono per lo “scannacristiani”, colui che azionando il telecomando attuò di fatto la strage di Capaci facendo esplodere 500 chili di tritolo: dal 2004, infatti, il collaboratore di giustizia ha avuto periodicamente diritto a dei permessi premio che gli hanno consentito di lasciare la prigione per un numero imprecisato di giorni, ogni mese e mezzo. Arrestato il 20 maggio 1996 all’interno di un’abitazione in contrada Cannatello, ad Agrigento, in un’operazione che coinvolse circa centosessanta uomini, inizia a rendere dichiarazioni sul proprio passato criminale nel giugno dello stesso anno. L’11 gennaio del 1996, dopo due anni, un mese e diciannove giorni dal suo rapimento, il piccolo Giuseppe Di Matteo veniva strangolato e sciolto nell’acido per ordine di Brusca.
“U verru”, altro appellativo con cui è conosciuto nell’ambiente criminale, si dichiara fin da subito colpevole o mandante di circa centocinquanta delitti, “di sicuro molti più di cento e meno di duecento”, un numero di morti ammazzati che risulta difficile da ricordare con esattezza. La strategia del terrore e l’attacco contro lo Stato italiano continuano anche dopo l’arresto di Salvatore Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993: insieme a Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca organizza e mette in pratica attentati dinamitardi anche fuori dalla Sicilia. Uno dei tanti è quello di via dei Georgofili, a Firenze, che uccise cinque persone, tra cui una bambina di nove anni e la sorella di appena due mesi, e provocò ingenti danni alla Galleria degli Uffizi.
La legge n.8 del 1991, confluita poi nella 45 del 2001, che garantisce protezione, assistenza e sconti di pena ai componenti delle organizzazioni criminali che decidono di collaborare con la magistratura italiana, è stata voluta proprio da Giovanni Falcone. Furono le dichiarazioni di tantissimi “uomini d’onore” a smantellare dall’interno le dinamiche e le gerarchie di Cosa Nostra, tra le prime quelle di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, alla cui collaborazione seguirono centinaia di arresti nonché l’istituzione del Maxiprocesso. Per quanto possa suscitare perplessità, sgomento e paura, la scarcerazione di Giovanni Brusca, ufficialmente collaboratore di giustizia dal 2000, rientra nell’ordine delle cose ed era già stata stabilita da tempo.
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