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Scoperto omicidio di mafia: finiscono in manette quattro esponenti di “Cosa Nostra”

| Enzo Ganci | Nera e giudiziaria

Sono ritenuti responsabili dell'omicidio di Giampiero Tocco

PALERMO, 30 maggio - I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di quattro importanti esponenti di “Cosa Nostra”.

Ritenuti responsabili dell'omicidio di Giampiero Tocco, ucciso con il metodo della lupara bianca, con l'ordinanza di custodia emessa dal Gip del tribunale di Palermo, Fabrizio La Cascia, su richiesta della locale Procura distrettuale diretta da Francesco Lo Voi, sono finiti in manette Ferdinando Gallina, nato a Carini il 21 maggio 1977, Giovan Battista Pipitone, nato a Carini il 24 luglio 1949, Vincenzo Pipitone, nato a Torretta il 5 febbraio 1956 e Salvatore Gregoli, nato a Palermo il 24 gennaio 1958 accusati.
Il 26 ottobre del 2000, Giampiero Tocco era stato sequestrato da un commando di uomini travestiti da poliziotti che avevano inscenato un posto di controllo a Terrasini: quando lo fermarono mentre era alla guida del suo fuoristrada, a bordo c’era la figlia di sei anni che venne risparmiata. Dopo che i sequestratori lo portarono via, fu proprio la bambina a chiamare la madre e fornire poi indicazioni sull'accaduto attraverso un disegno. Il tutto venne registrato dalle microspie che i Carabinieri avevano installato nel fuoristrada poiché sospettavano il coinvolgimento di Giampiero Tocco nell’uccisione di Giuseppe Di Maggio, figlio del noto Procopio, già reggente della famiglia mafiosa di Cinisi e storico alleato di Totò Rina.
Alla svolta nelle indagini contribuivano le recenti dichiarazioni del neo collaboratore di giustizia Antonino Pipitone, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Carini, e quelle dei pentiti Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio. Tali dichiarazioni e i conseguenti riscontri eseguiti dai militari consentivano di ricostruire il delitto (per il quale furono già condannati in via definitiva Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Damiano Mazzola e i due collaboratori di giustizia, Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio) e determinare i ruoli ricoperti dai destinatari del provvedimento restrittivo.
Le dichiarazioni di Antonino Pipitone confermavano anche il movente del delitto che, effettivamente, è da ricollegare alla scomparsa del figlio di Procopio Di Maggio, “Peppone”, ed alla reazione di stampo mafioso decisa dai Lo Piccolo a quell’episodio, evidentemente considerato una sorta di attacco al loro dominio criminale.

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

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