Sessant'anni fa la strage di Ciaculli, un evento ancora avvolto nel mistero

fumetto di Biagio Cigno

Due importanti convegni si svolgono oggi a Palermo per ricordare un tragico e drammatico avvenimento verificatosi sessant’anni fa, il 30 giugno 1963.

Il primo organizzato dalla Università degli Studi presso il Complesso Monumentale dello Steri in piazza Marina alle ore 10,30; il secondo organizzato dall’associazione per onorare la memoria ai caduti nella lotta contro la mafia presieduta da Carmine Mancuso in piazzetta Bagnasco alle ore 17,30.
In entrambi i convegni si alterneranno studiosi, autorità civili e militari, giornalisti e parenti delle vittime.

Ai più questa data non significa nulla perché troppo lontana nel tempo ma è una data che segnò un significativo cambiamento nelle strategie della lotta contro il fenomeno mafioso ed il risvegliarsi nella popolazione di una coscienza civile collettiva non solo in Sicilia ma in tutto il paese. Ma procediamo con ordine.
In quell’anno oltre ad usare le pistole, i mitra e i fucili gli esponenti mafiosi che combatterono la prima guerra di mafia tra Angelo La Barbera, capo della famiglia di Palermo centro, contro il resto della Commissione provinciale di Cosa nostra capeggiata da Salvatore Greco, adottarono un nuovo e tremendo mezzo: l’esplosivo nelle autobombe.

Il primo boato si avvertì il 12 febbraio quando nella proprietà dei Greco a Ciaculli esplose una 1100 ferendo la sorella. Il 26 aprile successivo a Cinisi un’Alfa Romeo Giulietta esplose uccidendo il boss locale Cesare Manzella (legato ai Greco) ed il suo fattore che era con lui.
Ancora, la notte del 30 giugno di quell’anno a Villabate un’altra Giulietta imbottita di esplosivo esplose dinanzi all’autorimessa di Giovanni Di Peri (ritenuto il capomafia della zona) uccidendo il custode Pietro Cannizzaro ed il fornaio Giuseppe Tesauro.
Ma l’avvenimento più eclatante doveva ancora accadere. In quella stessa mattinata del 30 giugno una telefonata anonima avvertiva i carabinieri che una Giulietta sospetta si trovava abbandonata in località Ciaculli presso il fondo Sirena di proprietà del boss mafioso Giovanni Prestifilippo, feudo dei Greco.

I militi accorsi sul posto, sospettando che si trattasse dell’ennesima autobomba chiamarono gli artificieri dell’Esercito. Ispezionata l’auto e rinvenuta una miccia collegata ad una bombola la disinnescarono. Malgrado questi accorgimenti attuati e ritenuto che il pericolo fosse scampato, il Tenente dei carabinieri Mario Malausa aprendo il cofano causò l’esplosione della grande quantità di tritolo di cui era imbottita la vettura. La tremenda esplosione investì ed uccise anche il Maresciallo Capo Calogero Vaccaro, i carabinieri Eugenio Altomare e Marino Fardelli oltre al Maresciallo di Pubblica Sicurezza Silvio Corrao e gli artificieri dell’Esercito Maresciallo Pasquale Nuccio ed il militare Giorgio Ciacci.
Ben sette vite stroncate da chi adempieva al proprio dovere. Ai funerali di Stato celebrati il successivo 2 luglio nella cattedrale di Palermo, alla presenza delle massime autorità dello Stato, parteciparono più di centomila persone. Il cardinale Ernesto Ruffini si fece sostituire da Monsignor Filippo Aglialoro.
Nei giorni successivi vennero arrestate circa due migliaia di persone sospettate di legami con Cosa Nostra, centinaia diffidate e centinaia proposte per il soggiorno obbligato. Molto mafiosi si resero latitanti nascondendosi all’estero.

A livello nazionale ,in Parlamento dopo mesi di incertezze e titubanze. la Commissione Parlamentare Antimafia, approvata nel novembre del 1962 e costituita formalmente solamente il 15 febbraio 1963, iniziò finalmente ad operare.
Non fu mai fatta vera luce sui mandanti che vide i due gruppi di potere mafioso contendersi per l’egemonia. Era il periodo delle grandi speculazioni edilizie immobiliari nella città e la scoperta del nuovo mercato redditizio della droga.

Nel 1984 il pentito Tommaso Buscetta aiutò gli inquirenti a far luce sulla strage indicando in Michele Cavataio come responsabile per eseguire l’attentato contro i Greco per far ricadere la responsabilità sui fratelli La Barbera. Dietro Cavataio avrebbero operato alcune delle famiglie mafiose della zona nord-ovest di Palermo che volevano opporsi al potere della Cupola che prevedeva l’alleanza tra la mafia siciliana con iella americana.
Nonostante le rivelazioni di Buscetta non venne accertato nulla e nessun membro di Cosa Nostra per quella strage è stato condannato.
A noi resta solamente il ricordo delle vittime che dobbiamo sempre onorare, ripercorrendone la memoria a far da monito alle future generazioni.