''Ritto sull'ultima collina'': Biagio Giordano, quel partigiano monrealese morto a 19 anni

Fu ucciso dopo quindici giorni di torture, dopo aver militato in Val Maurina, 78 anni fa: domani ricorre l'anniversario della Liberazione

MONREALE, 24 aprile – Biagio Giordano non ebbe il tempo di vedere i carri armati militari sfilare in coda per le strade della nuova Italia. Eppure chissà accanto a quale simbolo – tra Re o Popolo – avrebbe apposto il proprio segno.

Non ebbe il tempo di sapere che un sogno, chiamato Costituzione, alla fine sarebbe divenuto realtà. Non avrebbe mai vissuto gli anni venturi della sua vita, consapevole delle conquiste, dei fallimenti, dei passi falsi e delle fughe in avanti di una stagione politica appena nata.Avrebbe dovuto compiere vent'anni quando i tedeschi entrarono nella sua cella per l'ultima volta, lì su al carcere della nuova Imperia – era nata appena nel '23 - affacciata sul mar ligure. I tedeschi lo catturarono in battaglia, cercando poi nei quindici giorni successivi di cacciargli fuori nomi, luoghi e indicazioni. L'ultima, indifessa resistenza di Biagio non crollò.

La lingua non cedette al dolore, la memoria divenne arma. Un ragazzo di diciannove anni, che nemmeno la morte riuscì a sconfiggere. Era il 15 febbraio del '45. Poco più di un anno prima le truppe alleate erano sbarcate ad Anzio, apprestandosi a un faccia a faccia con i tedeschi che si sarebbe protratto fino alla primavera inoltrata, quando nel maggio del '44 riuscirono finalmente a sfondare la cosidetta linea Gustav, nella provincia di Frosinone – quella Ciociaria asciuttamente descritta dalla penna di Alberto Moravia, intrisa da sudore e sudiciume, affamata e animalescamente abruttita dalle violenze: ''Tutti gridavano, correvano di qua e di là e agitavano le braccia, come se avessero voluto fermare gli areoplani: 'La casa, la mia casa, assassini. Ci distruggono le case!'''.

Poi sarebbe venuto il turno di Roma, poi ancora Firenze e successivemente sarebbe arrivato addirittura un altro inverno, da trascorrere dentro capannoni quando andava bene, nascondigli di fortuna. Proprio lì, in quelle notti in cui soltanto il timore di morire assiderati vinceva quello di finire fucilati ed esposti come premi di guerra, da un momento all'altro, proprio lì forse nacque l'idea dell'Italia del futuro. Biagio Giordano però non avrebbe visto la primavera, e quel 'fiore del partigiano, morto per la libertà' pronto a sbocciare, trasudante freschezza e rinascita.

Non era ancora mattino, quel 15 febbraio del '45. Esattamente trenta minuti prima della sua esecuzione – presumibilmente già comunicatagli – Biagio Giordano consegnò ai propri familiari quella struggente lettera d'addio ancora visibile al Cimitero Monumentale di Monreale, incisa sull'effige tombale. ''Mamma e papà – così comincia – pensavo fiducioso di potervi riabbracciare, ma l'ora è proprio arrivata e quindi mi son deciso di scrivere queste poche righe. Miei cari genitori, dopo esser stato tre mesi con i patrioti italiani, venivo fatto prigioniero dai signori tedeschi. Dopo quindici giorni di prigione nelle carceri di Imperia, adesso alle ore 5 sono in attesa che arrivi il plotone di esecuzione. Mamma e papà, quando avrete queste mie righe io sarò nell'altro mondo, in compagnia di mio fratello Pinuccio... Vi raccomando di avere pazienza e coraggio. Io morirò convinto. Mamma, babbo, fratelli, tutti amici e parenti, addio. Mamma, addio''. Settanta giorni dopo il Comitato di Liberazione Nazionale Alta-Italia avviò l'insurrezione generale. Sul calendario cadeva la data del 25 aprile. Verso sera Mussolini, con al fianco l'amante Claretta Petacci, sale su un'automobile diretta al confine con la Svizzera. Due giorni dopo sarebbe stato intercettato dai partigiani, presso Musso nella provincia di Como, con indosso un completo della Luftwaffe, il reparto d'aviazione militare tedesca, fingendosi – si dice - addirittura ubriaco.

La fucilazione sarebbe avvenuta a Dongo, a ridosso del cancello di una villa, poco distante dal luogo della cattura. Il 29 aprile, Mussolini e l'amante, insieme ai corpi di altri quindici gerarchi, furono portati a Piazzale Loreto, precisamente lo stesso luogo in cui l'anno precedente i nazisti avevano giustiziato quindici appartenenti alla Resistenza. L'immagine dei loro corpi, appesi a testa in giù sulla trave di un distributore di benzina, esposti alla folla, sarebbe rimasta per sempre nella memoria collettiva come una di quelle tante pagine chiaroscurali, disturbanti forse perché (eccessivamente?) furibonde e feroci, di una Storia che finiva – con ogni sua ombra e ogni sua luce – e di un'altra che si apprestava a cominciare. Niente più impero, niente più pomposità e ostentazione, nessun altro uomo potente e solo al comando. Ecco cosa ne sarebbe stato della nuova Italia, quella sognata all'addiaccio, quella sibilata un attimo prima di lasciar defluire via anche l'ultimo respiro: 'Una cosa alquanto piccola, ma del tutto seria' come avrebbe risposto il partigiano Jhonny, protagonista del romanzo omonimo di Beppe Fenoglio, capolavoro indiscusso della letteratura italiana novecentesca e uno dei contributi letterari più belli sul fenomeno storico-umano della Resistenza.

Biagio Giordano, anche lui 'ritto sull'ultima collina', sarebbe stato restituito alla futura memoria della sua Monreale – e non solo, anche della Nazione – come uno di quei volti, uno di quei nomi in codice militari, invisibile magari, appena sussurrato, uno di quei tanti ragazzi e ragazze che, inspiegabilmente si riteneva allora, decisero di abbandonare tutto e di inseguirlo, quel loro sogno inspiegabile. Si chiama 'Biagio Giordano' l'aula in cui si riunisce il Consiglio comunale, nella sua dimensione estremamente ridotta, il cuore pulsante della nostra piccola grande democrazia. E' intitolata a Biagio Giordano e ai martiri della Resistenza la stele monumentale posta poco più sopra Piazzale Florio, in cui ogni anno una corona di fiori è riposta dall'amministrazione comunale – e che soltanto pochi anni fa qualcuno aveva ben pensato di imbrattare con della vernice spray verde.

Persino nelle domeniche di dicembre, quando l'aria frizzante e pungente – oggi – si può anche combattere con un caldo cappello di lana, abbracciandosi ancor più strettamente dentro al proprio cappotto, lì al cimitero monumentale, gettando un occhio a destra, qualche passo più avanti il cancello principale, qualche rosa fresca e scarlatta si vede ancora riposare ai piedi della tomba del partigiano. Sotto le sue parole, le sue ultime, scritte all'alba di un giorno di febbraio, il suo ultimo sole. 'Tutte le genti che passeranno ti diranno 'Che bel fior!'/ Questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà'. Biagio Giordano, diciannove anni, simbolo di una generazione, quella della Libertà, di cui oggi possiamo andare fieri. Si spera, senza dimenticarcene.

In foto: Lapide commemorativa, con la lettera di Biagio Giordano, al Cimitero Monumentale di Monreale