Ci lascia Totò Schillaci, eroe delle Notti magiche
MONREALE, 18 settembre – Per lui qualcuno scomodò Mozart. Quella musichetta che entrava dritta nelle orecchie era accompagnata da parole che il genio salisburghese mai e poi mai avrebbe pensato che venissero abbinate alla sua composizione.
Il motivetto faceva così: “Noi abbiamo un siciliano che / gioca a calcio meglio di Pelè”. Il resto era un tormentone: “…Totò, Totò Schillaci, Totò Schillaci, Totò Schillaci…”.
Lo cantava tutta l’Italia, dai ragazzini agli anziani. Uomini, donne, vecchi e fanciulli. Era il 1990, quando Totò Schillaci era il calciatore più famoso del mondo. I suoi gol, i gol di un ragazzo venuto dal Cep, capitato in una favola forse per caso, infiammavano l’Italia e ci regalavano un grande, grandissimo sogno. Forse il più bello degli ultimi quarant’anni. Un sogno, purtroppo, come tutti i sogni, svanito all’alba, anzi a tarda sera del 3 luglio di quell’anno, quando Donadoni e Serena sbagliarono il rigore al San Paolo e in finale a “Italia ’90” ci andò l’Argentina di Maradona. Quel giorno tutti ci domandammo: ma perché non ha tirato Schillaci? Si disse che non fosse a posto fisicamente e che il ct Azeglio Vicini proprio per questo non lo avesse inserito nella lista dei rigoristi (per la cronaca gli altri tre tiri dal dischetto furono realizzati da Baresi, Baggio e De Agostini).
Fu un vero e proprio lutto calcistico, una delle delusioni più cocenti della storia del calcio italiano. Quella, infatti, era forse la Nazionale più bella di sempre, che avrebbe strameritato quel titolo mondiale, vinto poi dalla Germania con il rigore farlocco fischiato dal messicano Codesal contro l’Albiceleste e trasformato con freddezza glaciale da Andy Brehme a 5’ dalla fine.
Peccato, mille volte peccato. Perché fino a quei maledetti rigori di Italia-Argentina era stato tutto troppo bello. L’Italia giocava in casa in un’atmosfera da sogno e giocava benissimo. L’Olimpico era pieno, nel nostro Paese per la prima volta arrivava la “Ola” (nella tribuna Vip la faceva pure Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio e simbolo dell’Italia di quegli anni).
E poi, per noi palermitani c’era la ciliegina sulla torta: i gol li segnava Totò Schillaci, che quel mondiale avrebbe dovuto viverlo in disparte, all’ombra di Vialli, Baggio e Carnevale e che invece, gol dopo gol, ne diventò l’eroe eponimo.
A cominciare dalla partita inaugurale degli azzurri contro l’Austria, quando al 75’, sullo 0-0, Vicini tolse un deludente Carnevale e mise dentro il ragazzo palermitano, che lo ripagò al primo pallone giocato. Palla in profondità di Donadoni per Vialli, cross dalla destra e incornata perentoria di Totò per il gol scacciacrisi.
Da allora in poi Schillaci cominciò a segnare a raffica e segnare in tutti i modi: di destro, di sinistro, di testa e pure su rigore, contro Cecoslovacchia, Uruguay, Irlanda, Argentina e Inghilterra. Gol che gli valsero il titolo di capocannoniere di Italia ’90, il secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro di quell’anno (vinto da Lothar Matthaeus) e lo stato di giocatore più popolare del Pianeta.
A Palermo succedeva il delirio: i gol di Totò Schillaci, raccontati dal grande cantore di allora Bruno Pizzul, avevano lo stesso effetto dirompente del terremoto. Per non parlare poi di ciò che succedeva a piazza Politeama al triplice fischio, dopo ogni vittoria. Con il centro cittadino che si riempiva di una marea di gente, tutti con trombe e bandiere, tutti che urlavano e cantavano a squarciagola. Qualcuno, addirittura, piantava il tricolore col numero 19, quello di Totò, sulla statua di Ruggero Settimo, proprio davanti l’ingresso del teatro Politeama. In pratica, scene di splendida e per nulla ordinaria follia collettiva, come non si vedeva da tempo o come forse non si era mai visto.
Oggi Totò ci lascia. Le sue notti magiche inseguendo un gol le vivrà lassù, dove la buona compagnia non gli manca di certo e dove, molto probabilmente, tornerà a sgranare quegli occhi che lo hanno reso celebre. Noi qui lo rimpiangeremo e lo ricorderemo. Il suo volo dai marciapiedi del Cep ai fasti della maglia azzurra continueremo a raccontarlo ai nostri figli. Sarà ancora emozionante. Come allora, come sempre.