La solitudine dei numeri primi

Bottas sfrutta un errore di Hamilton e vince a Sochi in F1, Rossi per un altro errore butta via una vittoria in GP

MONREALE, 28 settembre – Sbagliare capita. Una sciocchezza, una leggerezza, un fraintendimento: capitano a chiunque. È anche vero che in un universo fatto di dettagli che collimano alla perfezione come il Motorsport, certi errori devono essere evitati. Soprattutto se ti chiami Lewis Hamilton o Valentino Rossi.

I due, campionissimi delle proprie discipline, grandi amici quando si incontrano in un epico crossover in pista e non, personalità uniche impresse nell’immaginario collettivo. I due, in momenti della propria vita e della propria carriera completamente diversi: Lewis, entrato a Gennaio nel club degli over-35, si gode i suoi successi e la sua astronave targata Mercedes, mettendosi ogni domenica a caccia dei (pochi) record che gli rimangono da battere e di quelli che prova a migliorare.

Valentino invece è arrivato agli sgoccioli del suo leggendario cammino nel motomondiale (da pilota, almeno), dopo aver dominato lo sport nei primi anni 2000, e adesso pensa alla sua Academy e ai suoi ragazzi che stanno facendo un gran bene, dai vari Marini e Bezzecchi in Moto2 fino a Morbidelli e Bagnaia, che ogni weekend stanno dando spettacolo anche con e contro di lui in MotoGP, e a quel contratto firmato qualche giorno fa con Petronas, che gli concederà una sella anche nella stagione 2021, alla faccia del vecchietto.

Come il vino, o come Zlatan Ibrahimovic, loro più invecchiano più migliorano. Ma anche dei campionissimi con un bagaglio d’esperienza possono incappare in degli stupidi, ma a volte fatali, errori. Da una parte, da un sei (quasi sette) volte campione del mondo non ti aspetteresti mai che non sappia dove non si può sostare per le classiche prove di partenza pre-gara, procedura che si esegue sistematicamente ad ogni gran premio. E invece, incredibilmente, Lewis ci casca. Ancora una volta il regolamento gli vieta una vittoria, dopo l’errore dei box chiusi di Monza.

Doveva essere il giorno della grande festa, delle 91 vittorie come Schumacher, del passaggio di testimone, del battesimo definitivo della leggenda del britannico. Ed invece, si deve “solo” accontentare di un misero terzo posto, a causa delle due penalità da 5 secondi inflittegli, e di vedere il suo compagno Valtteri Bottas esultare dopo tante critiche e delusioni. Dall’altra parte invece, Valentino vedeva vicino quello che, non solo sarebbe stato il suo duecentesimo podio in classe regina, ma anche probabilmente una incredibile vittoria, tre anni dopo l’ultima affermazione. Un digiuno troppo lungo per chi è definito da moltissimi il G.O.A.T, Greatest Of All Time, il migliore di tutti i tempi.

Quartararo, l’enfant prodige dal sangue alcamese, era lì, alla portata, proprio lui con il quale si scambierà le moto a fine anno. Un’abitudine, un tempo, che con l’età e le difficoltà si è oggi trasformata in una chimera, un’impresa quasi titanica. Togliamo il quasi, perché essere lì, a 41 anni suonati, a lottare contro ragazzi che hanno la metà dei suoi anni, è già impressionante solo a pensarlo. Ma purtroppo, neanche oggi abbiamo un lieto fine. La gomma anteriore cede, Vale cade, una possibile vittoria in fumo. Torna sconsolato ai box, sapeva che doveva fare di più, per lui, per il suo team, per i suoi tifosi, anche se a loro va bene così. È sicuramente meglio cadere lottando per la vittoria, che annaspare nelle retrovie come accaduto negli ultimi anni, a testimoniare che, nonostante tutto, Rossi c’è.

Le immagini di Valentino affranto dopo la caduta, o di Lewis in silenzio mentre il suo ingegnere di pista Bono provava a dargli forza alla radio, sono un po’ il riflesso del lato più fragile ma allo stesso tempo più passionale del campione: quello della sconfitta, quello della solitudine dei numeri primi. Perché alla fine, campione non lo diventi non cadendo mai, ma rialzandoti ogni volta. Sia nelle corse, che nella vita. “Ed ogni corsa è l’ultima… Per me…”