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Stipendi d’oro all’Assemblea Regionale Siciliana, necessario puntualizzare per non banalizzare

fumetto di Michele D'Amico

PALERMO, 28 dicembre – Ai dipendenti dell'Assemblea Regionale Siciliana è applicato un contratto collettivo di lavoro totalmente differente dal contratto collettivo di lavoro applicato ai dipendenti dell'amministrazione della Regione Siciliana.

I dipendenti dell’Assemblea Regionale Siciliana non sono dipendenti dell’amministrazione della Regione Siciliana. Di fatto le retribuzioni dei dipendenti dell’Assemblea Regionale Siciliana, a parità di funzioni esercitate e responsabilità assegnata, sono di gran lunga superiori a quelle dei dipendenti dell’Amministrazione della Regione Siciliana.

Lo Statuto autonomo Regionale non prevede, in alcun articolo, che i dipendenti dell'Assemblea Regionale Siciliana debbano essere agganciati, dal punto di vista retributivo e contrattuale, ai dipendenti del Senato della Repubblica. In altre parole, non esiste alcun obbligo di legge né tantomeno costituzionale che lega i dipendenti dell'Assemblea Regionale Siciliana ai dipendenti del Senato della Repubblica.

Addebitare ancora una volta allo Statuto autonomo della Regione Siciliana, che ricordiamo essere la nostra Carta costituzionale, l’origine di tutti i mali, significa offendere, non solo la memoria di quanti hanno lottato per avere un così tale importante atto normativo fondamentale che definisce la natura, la struttura, la forma, l’attività e le regole fondamentali di un’organizzazione statuale, ma anche alimentare la sacca di una ignoranza già di per sé imperante.

I detrattori dello Statuto regionale dovrebbero sapere che il “cordone ombelicale” tra Assemblea Regionale Siciliana e Senato della Repubblica è nato da una semplice delibera dell’Ufficio di Presidenza negli anni quaranta e che il nuovo Ufficio di Presidenza può decidere in autonomia di stabilire tetti e compensi dei dipendenti, un’autonomia che non deriva dall’applicazione dello Statuto regionale ma, si ribadisce, da una semplicissima delibera, ovvero nient’altro che un atto amministrativo avente la caratteristica e il fine di rendere noto il volere del responsabile o dei responsabili che l’hanno posta in essere.

Purtroppo, la maggioranza dei siciliani non sa nemmeno cos’è e a cosa serve lo Statuto speciale della Regione Siciliana perché non ne ha mai sentito parlare, ovvero perché non l’ha mai letto o studiato, nonostante una legge regionale del 2011, rimasta solo sulla carta e mai applicata, ne abbia previsto lo studio, e non solo, nelle scuole siciliane.

In altre parole, lo Statuto regionale non si studia a scuola e non si conosce la sua vera storia, ossia il processo che ne ha consentito la concessione. Lo Statuto non è mai stato applicato per volere di uno Stato centralista, di una classe politica collusa, con una forte volontà centralista ostile all’applicazione integrale di esso. Non si conoscono le sue enormi potenzialità ma, paradossalmente, appare come l’origine dei mali siciliani e per questo lo si vorrebbe, persino, abrogare.

Mi sorgono spontanee alcune domande: i siciliani hanno compreso che, ad eccezione dei primi anni dell’era repubblicana, hanno scelto una classe politica che non ha mai avuto a cuore lo sviluppo economico della Sicilia, secondo le previsioni dello Statuto regionale e che nulla ha mai fatto per applicare lo Statuto regionale? Probabilmente no, ma ciò è palesemente dimostrato dal fatto che mai nessuno si è battuto affinché i decreti attuativi, previsti dall’articolo 43 dello Statuto, fossero stati davvero elaborati ed applicati.

I siciliani hanno mai compreso cosa avrebbe significato per loro, invece, l’applicazione integrale dello Statuto Speciale? Probabilmente no. Non si spiegherebbe, altrimenti, come i siciliani abbiano potuto sacrificare l’idea di utilizzare uno strumento costituzionale fonte di ricchezza, di prosperità e di affrancamento da uno Stato centralista che invece soffoca la Sicilia, rendendola sempre più povera.

È mai possibile che i siciliani siano così culturalmente poveri, talmente poveri da non cambiare idea neanche quando la realtà è evidente sotto i loro occhi? A proposito di questa ultima domanda spero di sbagliarmi e allora è necessario rivolgersi soprattutto ai giovani, esortandoli e invitandoli a documentarsi, a studiare, ad approfondire le infinite potenzialità della nostra terra, a non cedere a falsi profeti, a non delegare loro il proprio futuro, ma a rendersi loro stessi attori protagonisti di quel cambiamento che la storia della Sicilia merita.

Anche se mi rivolgo principalmente ai giovani, tutti sappiamo che l’azione e la bontà politica di un qualunque governo regionale, compreso l’attuale, si misura dal grado di risposta che lo stesso riuscirà a dare ai problemi reali della società siciliana e a invertire un trend che vede la Sicilia precipitare sempre più nella zona bassa, collocandola fra le regioni più povere e sottosviluppate d’Europa. La bontà di un governo non si misura perdendo del tempo prezioso ad affrontare problemi inesistenti che tendono solo a fare parlare di una classe politica inconcludente e a riempire pagine di giornali del nulla.