Rileggere in allegria il Decameron: un cuoco, una coscia di gru saporita e una presa per i fondelli
Belle le gru, animali per gente regale. Cinerine, come nube di tempesta densa di pioggia. Fiere, dritte come la schiena di un maestro di pianoforte. E poi con quella loro corona sottile, simile a quelle di molte Vergini di marmo, visibili in molte cattedrali. La campagna fiorentina ne era piena. E chi della loro caccia s'era senz'altro fatto addirittura un nome era Currado Gianfignazzi.
Voci di città dicono addirittura che Currado – benché fosse nobile e avesse più di qualche faccenda da sbrigare – non voleva saperne di questioni di carta, di moneta e di firma. Cani, fucili e cavalli erano, più che una passione, semplicemente la sua stessa vita. Sì, Currado da tutti era visto come un 'cavaliere' di quelli veri, di quelli d'altri tempi. Capitò un dì che, di ritorno da una usuale battuta di caccia, fosse più contento e gioioso del solito (lui che di sorrisi forse ne aveva sprecato solo qualcuno in vita sua): una di quelle grosse gru pendeva stecchita dal fianco del suo cavallo. Un maschio, robusto, carnoso. Metteva appetito già così, al solo vederla. Currado però se la immaginava già lì, distesa sull'argenteria splendente di casa, cotta a puntino dalle sapienti mani del suo cuoco di fiducia, il grosso e spaccone veneziano Chichibìo.
Chichibìo era un omone grande e grosso, ma dalla voce sottile, vellutata, canterina. Le gote rosse (di vino) incorniciavano un sorriso affabile, familiare ma al contempo scaltro. Chichibìo era uno dalle grasse risate e dalla pancia sempre piena. E di quella gru, quel giorno, era intenzionato a farne un'opera d'arte, un David in penne e piume. Sale... ora un po' di timo... una spruzzata di limone leg-ge-ris-si-ma... e ora via di fuoco! Lettore, lo senti anche tu il profumo? Tutta la cucina era come la sacrestìa di una chiesa, impregnata da quell'odore acre e alienante d'incenso. L'odore aveva attirato l'attenzione di tutti, anche di una giovane ragazza, che con la sua testolina bionda fece capolino dalla porta. Si chiamava Brunetta. E ogni volta che la vedeva, il cuore – quello di Chichibìo, è chiaro - prendeva a muoversi con furore, autonomo. - ''Eddai su, dammene una coscia!''. -Il cuoco cantava allora, a mo' di tenore: ''Voi non l'avrì da mì, donna Brunetta, voi non l'avrì da mì!''. - ''Chichibìo!'' sbottò allora lei -''Lo sai che se non me ne dai una coscia, puoi scordarti di tutto ciò che più desideri, vero?''. Il grasso veneziano sarà stato anche un servo fedele... ma cosa non si fa per un paio di occhi azzurrini!
E così la gru, bella che pronta (ma senza una coscia!) venne presentata a tavola, dove Currado Gianfignazzi intratteneva i suoi ospiti. Non passò molto però prima che l'appetito si trasformasse in collera. ''Portatemi il cuoco!'' sbottò agli altri servi. Il processo alla coscia sparita fu presto detto e bello che organizzato proprio lì, nella sala da pranzo. Chichibìo si difese al meglio delle proprie possibilità: ''Signore, di cosa vi stupite? Lo sanno tutti che le gru hanno una gamba sola''. Currado, alla sfida lanciatagli dal veneziano, rispose con una minaccia: ''Domattina verrai con me, a cavallo. Vedremo se continuerai a fare lo spiritoso. Ma – bada bene – se quelle bestie hanno due gambe e Dio mi fulmini se non è così! dentro allo stesso piatto ci sarai tu''. E così avvenne. La mattina seguente, Chichibìo e Currado (che quella notte per la collera non aveva chiuso occhio) si recarono presso lo stesso fiume in cui il giorno prima aveva avuto luogo la caccia. Tutte le gru – per la felicità del cuoco – dormivano su una gamba sola, proprio come sono solite fare. ''Ecco! Vedete, signore? La gamba, è una sola''. - ''Sta' buono'' ammonì Currado. Scese da cavallo allora, portò le mani alla bocca e con un sonorissimo oh-oh-oh! fece sollevare in volo tutti i pennuti, terrorizzati. Così facendo, librandosi nell'aria, scoprirono anche la seconda gamba. Currado sogghignò e rivolto al cuoco: ''E ora? - disse – cosa mi dici, grassone di un veneziano?''. Chichibìo sudò freddo, vedeva già il suo sedere, cotto a puntino su quell'argenteria luccicante, elegantemente posata sul tavolo da pranzo, una mela in bocca e pieno zuppo di aromi. Poi però, in un lampo improvviso (di disperazione, forse) disse al padrone: ''Signore! Voi avete ragione. Ma non avevate mica gridato oh-oh-oh a quella che avete ucciso ieri!''. Currado sgranò gli occhi. Poi, inaspettatamente, scoppiò in una risata tanto incontenibile che quel giorno, alla tenuta, non si seppe di che altro parlare. La battuta di Chichibìo e delle gru con una gamba sola aveva stregato tutti.
In copertina ''La cuoca'' di Bernardo Strozzi, fonte: Wikipedia
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