La compassionevole favola educativa del povero cervo alla fonte ed i risvolti morali

Lo scrittore romano di Campo dei Fiori, in arte Fedro, compose una favola superlativa e fortemente educativa, titolata “Il cervo alla fonte” che risulta a distanza di secoli, fortemente educativa, travolgente ed attualissima nella nostra civiltà contemporanea.

La favola del cervo è tratta dal primo libro di favole di Fedro, originariamente scritta in latino. Ho letto la favola nel 1966, quando frequentavo la prima liceale del Liceo Classico Vittorio Emanuele II, sito a Palermo in via del Collegio Giusino. Ho rielaborato la Favola del Cervo alla Fonte nel mio diario segreto che custodisco ancora nel 2021 in un cassetto blindato della mia scrivania. Originariamente la favola era scritta in lingua latina ed ho dovuta tradurla in lingua italiana. Questo meraviglioso Cervo che si specchia nell’acqua della fonte, resta incantato per la meraviglia delle sue corna che adornano la sua testa e le danno splendore.

Questa è la prima tra le attualità della favola di Fedro, ovvero la presenza a 360° di tanti cornuti in questo nostro Pianeta Terra.
Mi ricordo che da ragazzino, il mio tenerissimo papà Giovan Battista Caputo era solito portarmi a Mondello presso il locale di Totò Cannata, per consumare ricci, ostriche e polipo. Alle 12,30 in punto, mio padre soleva introdurre una monetina nel juke-box del locale e faceva suonare a volume altissimo la canzone dei Cornuti, per mandare in bestia il cuoco di Totò Cannata, don Sarino il Becco. Nel finale la canzone dei cornuti, recitava: Tutto il mondo è paesi e città, di cornuti ce ne sono in quantità, ma i cornuti becchi ci sono pure qua. Partiva la scena madre con Don Sarino il Becco, che alla fine del film prendeva solenni bastonate da Don Totò Cannata e da mio padre.

Ritornando alla Favola del Cervo alla Fonte, che mira estasiato e felice le sue bellissime corna si può solo profetizzare la fine miserabile di questo bellissimo animale, che era presente anche in Sicilia fino al XIX Secolo. Mentre il Cervo rimirava estasiato le sue corna e disprezzava l’esilità delle sue zampe, fu improvvisamente atterrito dalle voci di numerosi cacciatori e dal latrare dei loro cani famelici; il povero cervo fuggì atterrito attraverso il bosco, ma addentrandosi nel bosco fu bloccato ed ostacolato dalle sue corna che s’impigliarono tra i rami degli alberi e si compì il suo malefico destino, ovvero essere sbranato dai morsi dei cani famelici. Si racconta che sul punto di morire, il povero cervo pronunciò queste parole testamentarie: “Povero me, solo ora capisco quanto mi siano state utili quelle cose che avevo disprezzato e quanto male mi hanno procurato quelle che avevo lodato”.

La vera morale di questa favola, si regge su due pilastri critici della nostra vita balera e galera. Siamo incapaci di giudicare e distinguere l’essenziale dal superfluo. Azzardiamo troppo spesso, giudizi e critiche frettolose sugli altri, commettendo, spesso e volentieri, errori elevatissimi di valutazione dell’operato altrui.
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