La favola satirica di Bertoldo e Bertoldino alla corte di re Alboino

Fin da ragazzo ho amato stratosfericamente il teatro satirico. Mi ricordo che a 16 anni cominciai a recitare nei teatri palermitani con attori professionisti del calibro di Beno Mazzone e Salvatore Rinella, fondatori del Teatro Libero di Palermo.

Nel 1972 fondai il mio gruppo di Cabaret con sede giuridica in via Costantino Nigra a Palermo; il primo lavoro cabarettistico si chiamava Donna di classe Piacere alle masse, cui seguì il secondo lavoro Guerra e Cacio. Adoravo il cabaret perché era pura satira sociale e politica. Quando ebbi modo, nel periodo universitario, di leggere tutte le commedie satiriche di Plauto, coronai il mio sogno di autore di pièce teatrali. Ho sempre scavato nel pozzo della nostra letteratura della seconda metà del 500 e dei primi del novecento ed ho tirato fuori dal mio secchiello il grande poeta Antonio Veneziano che mi ha ispirato la mia prima pièce teatrale Celia che ho rappresentato nell’aula consiliare del Comune di Monreale.


Ad interpretare Celia è stata la grande Lina Sastri insieme a Lollo Franco. Dopo Veneziano ho ripescato Giulio Cesare Croce e la sua favola satirica dedicata a Bertoldo e Berdoldino, pubblicata nel 1620. Nella favola si narra dell’immaginaria corte di re Alboino a Verona e delle furberie di Bertoldo, un villano furbastro e di mente ingegnosa che corona il suo sogno di diventare consigliere del re. Bertoldo amò il ruolo di buffone di corte, rispondendo sempre per le rime a chicchessia e salvandosi sempre in calcio d’angolo con l’imbroglio e le buffonate satiriche. L’avventura di Bertoldo inizia quando a cavallo del suo asinello giunge alla corte del re Alboino, realmente esistito, che lo mette alla prova ponendogli duri indovinelli da risolvere. Bertoldo, grazie alla sua astuzia, se la cavò alla grande, risolvendo tutti i quesiti ed indovinelli.


Re Alboino, divertito inverosimilmente, nominò Bertoldo giocoliere e buffone di corte. L’optimum creativo di Bertoldo, supplicato dal re Alboino, fu la sua trovata provvidenziale per liberare la figlia del re dal matrimonio con un finto lord inglese che mirava solo alla proprietà del re veronese. Dopo questo grande successo Bertoldo fu reintegrato ai ranghi alti della corte del re, ossequiato e riverito da tutti i cortigiani. Bertoldo dopo pochi mesi si annoiò tremendamente di stare a corte; la sua grande risorsa era l’imbroglio, la spacconeria e le grandi trovate. La noia portò alla morte quel diavolo di Bertoldo. Piansero tutti a corte ed in famiglia il figlio Bertoldino, inetto ed ignorante, si strappò tutti i capelli. Re Alboino fece scrivere sulla lapide di Bertoldo il seguente epitaffio: In questa tomba tenebrosa e oscura, giace un villano di sì deforme aspetto, che più d’orso che d’uomo aveva figura, ma di elevato intelletto e ingegno, che stupire fece il mondo e la natura. Mentre era in vita , fu Bertoldo detto, fu grato al re e morì con aspri duoli per non potere mangiare rape e fagioli.
Copyright © By Salvino Caputo