La favola del pane quotidiano di Ciccio Tusa

Una storia lunga una vita

Tra la via Balsamo e la via Testa a Monreale, svoltando a destra dalla via Antonio Veneziano in salita, s’insediò, nella notte dei tempi, il primo forno in pietra a legna della nostra cittadina normanna. L’ideatore rivoluzionario di questo primo forno a legna fu il tenerissimo Zio Turiddu, sciacquato papà del nostro mitico Ciccio Tusa, un cultore del pane, delle farine e di mille specialità dolciarie senza frontiere.

Carissimo Ciccio Tusa, ti ricordi quando ancora ragazzino con le brache corte t’inventavi una scusa quotidiana per non smaltire la legna del forno paterno, accatastata senza via di fuga? Caro Ciccio, fin da piccolo, non volevi ubbidire a nessuno! Sei stato sempre un impenitente anarchico e creativo. Sei cresciuto con la maledetta voglia di sfondare e creare il tuo impero, fondato sul duro lavoro e la competenza. Ti sei creato una famiglia di figlie operose e di un figlio cassiere della tua mitica azienda. In tempi non sospetti hai dato alla luce il tuo primo forno in Corso Pietro Novelli a Monreale, nelle vicinanze di Largo Canale. Eri in società con Salvino La Rocca e vi dividevate i compiti nella gestione del forno. Mio padre Titì Caputo vi forniva, a pagamento ritardatario la farina, materia prima del vostro commercio. Quanti sacrifici e malumori! Non entro nel vostro vissuto aziendale, nel rispetto assoluto della vostra privacy. Puntualmente come in tutte le società di commercio, avvenne il giorno fatidico del divorzio consensuale e lo zio Ciccio, guardandosi allo specchio in una giornata uggiosa invernale, giurò a se stesso che non avrebbe mai più voluto nella sua vita, associarsi con altre persone.

Tirò avanti per diversi anni, accarezzando nel suo cuore zingaro l’approdo alla sua attuale location in Corso Pietro Novelli, alle pendici del Palazzo Ducale ex proprietà del notaio Leto e proprietà attuale del Dottor Totò Valerio, che lo ha, con grazia, restituito alla fisiologia commerciale del più confortevole Bed Breakfast di Monreale. Ciccio e la sua azienda vivono, oggi, l’apoteosi di un successo meritato, frutto del durissimo lavoro, dell’impegno e dell’abnegazione assoluta nel ritmo travolgente dei tempi di produzione del forno sublime, che Ciccio testardamente ha voluto e fortissimamente vorrà, fino alla fine del suo tempo. Non incontro Ciccio da tantissimo tempo perché siamo invecchiati entrambi. Fino a lontanissimi cinque anni or sono, c’incontravamo sotto casa mia e ricordavamo il tempo che fu. Ciccio mi ha sempre voluto bene e stimato oltre i miei meriti, perché gli ricordavo lo stile e la classe di mio nonno Nino Lo Coco. In ogni caso, Ciccio è sempre arzillo e scatenato. Quotidianamente prepara la pasta con le vongole ai suoi figli e si destreggia alla grande nei secondi piatti. Gli auguro un’infinità di bene e salute, sperando d’incontrarlo ancora e raccontarci le pagine segrete della nostra storia di uomini e padri tenerissimi che hanno vissuto alla luce del sole, per proiettarsi avanti nel tempo e sfidare il futuro e la curvatura del tempo mafioso che sicuramente ci avvolgerà nel nostro fine vita. Ciccio è stato sempre superstizioso.
Mi ricordo fatidicamente un mitico 5 dicembre del 1987, uggioso e piovoso! Avevo incontrato fatalmente e casualmente lo zio Ciccio sotto il portone di casa mia e lo zio affettuosamente m’invitò con piglio deciso quasi categorico, al vecchio Sport Bar Renda in piazza Vittorio Emanuele per un aperitivo robusto di riscaldamento dei nostri motori anatomici. Non appena approdammo nella meravigliosa piazza monrealese, lo zio Ciccio ebbe un mancamento. Ciccio, me lo confessò dopo la ripresa fisiologica dei suoi sensi, aveva incrociato sulla nostra strada una donna chiamata Teresina a tanghera. Non appena lo zio Ciccio incrociò la donna, si toccò lungo le parti anatomiche intime del suo corpo e gridava ad alta voce: ”Trono, trono vattene a mare, questa è strada dell’amicizia e questa donna turba la pace e scatena dura guerra ed ostilità”.

Ciccio TusaQuando finalmente, per mia fortuna, lo zio Ciccio si destò dal mancamento, mi chiese: “Salvino, hai allontanato la iella?”. Risposi candidamente: “Non ti preoccupare, la donna si è dissolta come neve al sole, dopo i miei improperi e le mie pesanti parole. Conosco la signorina Teresa da una vita e quando incrocia il mio passo, la squasso”. Adesso possiamo serenamente brindare a questa giornata del cattivo affare! Cambiamo bar, mi sussurrò lo zio Ciccio! Approdiamo al Bar Giaccone o al Bar Mirto e poniamo fine alla maledizione della superstizione. Lo guardai negli occhi teneramente e gli sussurrai: “Ciccio sei un impenitente superstizioso, ma ti condivido”. Degustammo, presso il Bar Mirto, un thè caldo innaffiato con menta e sambuca e ci avviammo lungo la via Roma per un sereno ritorno a casa. Ho preferito tralasciare nella mia favola scritta in onore di Ciccio Tusa, tutte le estreme peculiarità di competenza dello zio Ciccio in materia di farine e bilancini, lieviti e tempi di lavoro. La mia è soltanto una favola rosa che racconta vissuto ed esperienze in prima persona. Lascio ai giornalisti le interviste ai personaggi che hanno incrociato le vicissitudini di questa nostra vita galera a Monreale. Paradossalmente rido a crepapelle, quando leggo tentativi di biografie elaborate fuori dai codici classici del grande Plutarco ed abbozzate mediocremente nel tentativo onanista dell’autocompiacersi. Scrivere è la categoria assoluta della nostra anima, soul, cultura, profondità e sentimento. Non avrei scritto mai una riga, se non fossi stato ispirato ed essere stato protagonista della storia o della favola che racconto o raccontato, nel mio tempo diacronico.

 

DAL LIBRO PARAMUTIA 2017 BY SALVINO CAPUTO _(c) Copyright e Tutti i diritti riservati ISBN E SIAE