Napoleone Colajanni, un uomo senza chiese

Si ripubblica il suo “Nel regno della mafia...”

Nell’Italia in cui abbondano ripetitive ( costose) manifestazioni celebrative di ogni tipo può verificarsi che non poche importanti ricorrenze vengano organizzate, secondo i gusti o gli interessi prevalenti, in maniera barocca, oppure ipocritamente protocollare, o, come spesso accade, sottotono.

Talvolta, succede, invece, che a prevalere sia il silenzio o la generale disattenzione . Non so se il “silenzio” che, per ora, caratterizza l’imminente centenario (previsto per il 2 settembre 2021) della morte di una personalità di prima grandezza come Napoleone Colajanni sia ascrivibile a “generale distrazione”, a disguidi organizzativi, o invece a una precisa volontà politica che predilige l’oblio a scapito del doveroso ricordo. Certo è che un evento rilevante ( e il centennale della morte di Colajanni lo è di sicuro) non si può organizzare dall’oggi al domani , né tantomeno a ridosso del 2 settembre. In casi simili, pur in presenza di fatti pandemici, di norma, si è provveduto a programmare ogni attività in memoria con largo anticipo ( almeno un anno prima o più, come si è visto per le celebrazioni dantesche ).

Pensar male non è sempre buona cosa. Come qualificare, allora, il “silenzio” del Parlamento italiano ? E che dire di quello non meno significativo del competente assessorato della Regione siciliana e degli enti locali territoriali dove Colajanni nacque, visse e morì? Per tacere dell’analogo “silenzio” delle Università siciliane e di quelle romane. Se le suddette istituzioni qualcosa hanno “progettato”, non è dato sapere. Probabilmente non è stato fatto nulla, perché, altrimenti, le redazioni dei giornali , on line e carta stampata, sarebbero state inondate da circostanziati comunicati stampa e quant’altro.E allora? Penso si debba agire, a tutela soprattutto della memoria storica e collettiva, avviando una serie di iniziative per ricordare adeguatamente ai nostri contemporanei , soprattutto giovani, la figura, il pensiero e le battaglie sociali, culturali e politiche di un grande italiano, nato e cresciuto nella nostra Isola, come Napoleone Colajanni.

La Sicilia, terra da lui tanto amata e difesa , deve molto, ancora oggi, all’insigne studioso e uomo politico. Colajanni nacque a Castrogiovanni ( oggi Enna) il 27 aprile del 1847 e si spense nella sua città natale il 2 settembre 1921. Deputato alla Camera, eletto nei Collegi di Castrogiovanni-Caltanissetta e Girgenti, dal 1892 fino alla morte. Militò nell’opposizione “estrema” repubblicana e radical-socialista. Fu un parlamentare fra i più autorevoli e ascoltati, ma anche un prolifico e prestigioso giornalista , un gustoso polemista, un acuto sociologo ed economista, un rigoroso professore universitario (insegnò statistica nelle Università di Palermo, Napoli e Messina), un ottimo popolare medico della sua città natale. A Castrogiovanni, che il regime fascista poi ribattezzò Enna, ricoprì per lunghi anni la carica di assessore e consigliere comunale. Avversario dichiarato e battagliero di Francesco Crispi e Giovanni Giolitti, si schierò sempre dalla parte dei lavoratori e per la libertà, in difesa del Mezzogiorno .

Denunciò senza peli sulla lingua, in coerenza con la sua concezione morale ed etica della politica, lo scandalo della Banca Romana (intreccio perverso di indicibili affarismi fra politici e banchieri), provocando la caduta del primo ministero Giolitti (1893). Respinse sdegnosamente l’assurda tesi antropologica di Cesare Lombroso della “ razza” come “causa unica” dell’arretratezza meridionale. Si deve a lui una delle prime proposte di riforma dello Stato italiano che poggiava su due presupposti: il repubblicanesimo mazziniano e l’idea federalista come completamento del concetto di repubblica così come concepito da Carlo Cattaneo. In più una concreta valorizzazione delle autonomie locali e un significativo decentramento amministrativo per mitigare il centralismo voluto e realizzato dalla Destra storica. Diresse dal 1891 in poi “L’Isola di Palermo”, giornale di opposizione, fautore di un socialismo moderato. Strinse amicizia con Filippo Turati, le cui idee socialiste condivise tra il 1882 e il 1893. Successivamente polemizzò aspramente proprio con il padre nobile del socialismo italiano, a causa di divergenze ideologico-politiche non sanabili. Lasciò, dunque, i socialisti per aderire , in maniera più ferma e convinta, al partito repubblicano. Fondò, altresì, “ La Rivista Popolare”.

Nel 1900 fece stampare il pamphlet , che nel centenario della sua scomparsa pubblichiamo ( in riproduzione anastatica), con il titolo diretto ed evocativo di allora: “Nel Regno della Mafia”. Un’opera coraggiosa e incisiva, ancora oggi utile e valida, per l’acutezza dei giudizi e per le soluzioni prospettate. Il libro costituisce un contributo serio e maturo allo studio del fenomeno mafioso e risulta un qualificato esempio per quanti, ai giorni nostri, combattono la piovra, non solo giudiziariamente, senza quasi mai far seguire alle parole i fatti. Rimasero sempre presente in Colajanni gli ideali mazziniani repubblicani (nei quali si era forgiato), anche quando, ripeto, si accostò al socialismo positivista ed evoluzionista di fine ‘800. Insomma non fu mai un “trasformista” né, tantomeno, un anticipatore degli attuali spregevoli “voltagabbana” che pullulano gli scranni del Parlamento della Repubblica. Si intestò, senza esitazioni e con coerenza politica, la causa dei “carusi” delle miniere di zolfo, dei pastori, dei braccianti e dei contadini poveri del latifondo, proponendo, per il riscatto morale e civile della Sicilia e dell’intero Sud, la diffusione della cultura e la presa di coscienza politica delle masse. Non a caso fu molto vicino al Movimento dei fasci dei lavoratori che tanti lutti provocò in Sicilia a causa della dura repressione governativa. T

utto ciò, comunque, non lo distolse dall’avversare, al tempo stesso, la politica di Giolitti prevalentemente indirizzata a privilegiare lo sviluppo economico del Nord Italia. In sintesi, nella sua lunga attività politica e parlamentare, Colajanni condusse senza esitazioni: una incessante battaglia contro la mafia ( che per lui era essenzialmente un problema politico ancorchè criminale); una lucida azione parlamentare e fra la gente per rimarcare la centralità della questione meridionale e il superamento del dualismo economico e sociale ( disse: “ la democrazia resterà incompiuta sino a quando coesisteranno due Italie”. Quasi una profezia, vista la persistenza degli squilibri territoriali e sociali!); una lotta senza quartiere al degrado morale senza fare mai del moralismo. La questione morale ( e la lotta alla corruzione )per Colajanni era la questione n.1, la cui irrisolvibilità condizionava non poco la vita democratica e la tenuta delle istituzioni e della pubblica amministrazione.


Cosa direbbe oggi l’illustre nostro conterraneo davanti al moltiplicarsi delle ruberie e allo sperpero di pubbliche finanze a tutti i livelli di governo? Nondimeno il 100° anniversario della sua scomparsa rischia, per i motivi in premessa indicati, di non lasciare alcuna eco: eppure i motivi di riscoperta della sua attualità sono molti. Ad iniziare dal meridionalismo e dalla lotta alla mafia e alla corruzione, non tralasciando l’impegno per dar vita ad una nuova etica e responsabilità pubblica . Napoleone Colajanni ha il “ torto” di non essere stato adepto di nessuna “chiesa”. Da qui, a giudizio non solo di chi scrive, il pressocchè totale oblio della cosiddetta politica ( nazionale e locale) priva ormai di ideali e sovente lontana dalla gente. Ieri come oggi. Forse è proprio questo oblio ad accreditare il coraggio e l’opera di Colajanni che concluse il suo saggio sulla mafia con queste parole : “Il Regno della Mafia in Sicilia non cesserà se non il giorno in cui con una vera instauratio ab imis i Siciliani acquisteranno la libertà vera, il diritto e i mezzi di punire i prepotenti, di mettere alla gogna i ladri e di assicurare a tutti la giustizia giusta!”.Con il senno di poi, alla luce anche dell’acuta intuizione di Sciascia sul superamento della linea della palma , è augurabile che l’auspicio di Colajanni susciti entusiasmo non solo nell’Isola ma nell’intero Paese afflitto, ahinoi , dai medesimi mali siciliani e da alcune patologie generative senza confini geografici.

Con la pubblicazione, nel centenario della sua scomparsa, del libro a lui tanto caro “Nel regno della Mafia”, si è inteso colmare un “vuoto”, che solo una sempre più “disattenta” politica è capace di generare, per non disperdere quasi definitivamente la memoria ,storica e collettiva, di un testo che ha fatto conoscere, nel lontano 1900 e nei decenni seguenti, a più generazioni di italiani, che cosa è la mentalità mafiosa e, quindi, la ferocia dell’organizzazione criminale mafiosa, partendo dalla descrizione del primo eclatante delitto della piovra ovvero l’atroce assassinio di Emanuele Notarbartolo, già sindaco di Palermo e direttore generale del Banco di Sicilia. Personalità assai rilevante per competenza e preparazione, probo amministratore pubblico , coraggioso difensore della legalità e nemico giurato dell’intramontabile blocco di potere politico-mafioso che, allora come nella contemporaneità, faceva e fa il bello e il cattivo tempo in città , in tutta l’Isola e in altri siti.

Desidero ringraziare, infine, anche a nome dell’editore Edoardo Lazzara, i cortesi amici Felice Cavallaro e Carmine Mancuso per la loro spontanea e generosa adesione all’iniziativa di ripubblicare l’opera più nota di Napoleone Colajanni e con essi le Associazioni culturali e civili che degnamente rappresentano. Insieme a loro siamo sicuramente accomunati dal desiderio di non disperdere la memoria di un grande siciliano che ha onorato l’intero Paese, la Politica con la “P” maiuscola , la legalità e la causa per il riscatto democratico e civile della sua Isola e del martoriato Mezzogiorno.

 (fonte:giovannipepi.it)