"Ammuttamu u fumu ca' stanga"
Per molti è proprio il fumo bianco che si innalza dai cilindri dei venditori di caldarroste a segnalare l'arrivo (quantomeno sul calendario) della stagione autunnale. Un fumo che, via via che ci si avvicina, si arricchisce di profumo e infine di sostanza.
Pochi sanno resistere al richiamo di una caldarrosta, alla fragranza che sprigiona quando si libera dalla buccia rovente, imbiancata dal sale e dalla cenere. Il castagno, per secoli ha sfamato con i suoi frutti intere generazioni ed ha costituito la base alimentare delle popolazioni rurali che in esso trovavano rimedio a carestie e povertà.
Il ciclo reimpiegava tutte le risorse: le castagne buone erano nutrimento per l'uomo, quelle guaste per gli animali, le scorze si usavano per alimentare il fuoco dell'essiccatoio, le foglie come lettiera per il bestiame nelle stalle; i ricci venivano messi in un buco scavato nel terreno con funzioni di torbiera per trasformarsi in concime per gli alberi. Il suo legname serviva a riscaldare i casolari, forniva tannino per la conciatura delle pelli e materia prima per costruzioni e attrezzi di uso quotidiano.
Le castagne per il loro basso costo, l'alta reperibilità e l'elevato potere nutritivo erano utilizzate come alternativa ai cereali, sostituivano spesso il pane di segale, da cui il nome di "pane dei poveri". Ed è proprio in questa lotta per la sopravvivenza che i poveri hanno imparato ad utilizzare e cucinare le castagne nei più svariati modi. Quando si parla di castagne a Palermo, il diretto riferimento è quasi esclusivamnete alle caldarroste e l'immagine tipica del castagnaru, con il suo chioschetto dedicato alla vendita.
Molto interessante è l'etimologia del termine caldarrosta: come mai questi due aggettivi "calda" e "arrostita" sono stati usati insieme ad indicare la castagna cucinata in un determinato modo? Gli antichi venditori di castagne arrostite, richiamavano l'attenzione dei possibili clienti con una tipica abbanniata "cavuri e arrustuti sti' castagni l'aiu sbinnuti!", che tradotta letteralmente sta per "calde e arrostite, queste castagne le svendo", ad evidenziare che la qualita e bontà del prodotto coincideva anche con un prezzo bassissimo. Da qui, in riduzione, forse anche per seguire il ritmo veloce della vita moderna, "calde e arrostite", quindi "caldarroste". Un'espressione comunque incisiva, in grado di richiamare l'attenzione dei passanti.
Raccolta e mangiata tal quale, bollite, secche (cruzziteddi) o arrostite...in ogni modo e in ogni forma, il frutto dell'autunno per i siciliani è, senza alcun dubbio, la castagna. Le caldarroste in sè non rappresentano una novità, perchè reperibili in tutte le città d'Italia, ma l'incontro tra il consumatore siciliano e le caldarroste è assai caratteristico, nel profumo, nel colore e nel gusto!
Proprio di questi tempi "castagna style" imperversa! Le prime avvisaglie di freddo e, come accade solo in Sicilia, anche se non siamo a marzo, la città approfitta sempre per vestirsi di nuovi "colori": i malivistuti e la caldarroste. E' facile, infatti, imbattersi sia negli uni sia nelle altre e con la stessa frequenza si incontrano persone con giubbotto e sandali ai piedi, oppure con canotta e stivali, e rudimentali bracieri che ispessiscono l'aria con le tipiche e suggestive nuvolette di fumo bianchissimo.
Un braciere ben alimentato ed il rito della castagna arrostita si rinnova e si consuma. Ogni angolo di strada è gradevolmente invaso dal caratteristico odore delle caldarroste ed avvistare, anche da lontano, il "castagnaro" è semplicissimo, basta seguire le nuvole di fumo. Il caratteristico fumo bianco che stenta ad alzarsi nel cielo umido dell'autunno è un'icona delle strade palermitane e mentre annuncia il freddo che sta arrivando, scalda gli animi e fa pensare già al Natale.
Quel fumo, per nostra fortuna, almeno in questo caso, non è generato da uno dei cassonetti dei rifiuti dati alle fiamme ma non è nemmeno "eau de stigghiol". Quella coltre fumosa più delicata è prodotta dalle fornacelle dei caldarrostai. Sotto quella nuvoletta, infatti, c'è un lungo cilindro metallico dal colore ormai arrugginito e bruciacchiato, dove al fondo c'è una brace accesa e nella parte superiore le castagne in cottura, riposte su una sorta di griglia forata.
Davanti alla fornacella cilindrica c'è un uomo che incide le bucce delle castagne, versa del sale e di tanto in tanto scuote il tutto con maestria, preparando in modo artistico il "packaging" ideale per la vendita della mercanzia: i cuppitieddi, involucri di carta a forma di cono. La particolarità delle nostre caldarroste, però, oltre che dal caratteristico aggeggio con cui sono cucinate, è data proprio dal sale che a contatto con la brace, crea una soffice polvere bianca, simile nell'aspetto allo zucchero a velo, che imbianca tutte le castagne.
Per molti, quella coltre bianca e vaporosa è anche il pretesto per sciorinare la battuta popolare "miiii, e cchi ficiru u papa?". Anche le castagne, così come tante altre prelibatezze, assurgono al ruolo di protagoniste della teatralità cittadina, prestando il fianco a fragorose risate. Le castagne, nel fuori tavola siciliano, sono anch'esse protagoniste di espressioni cariche di colore: "Ti rassi na castagna ‘nto petto, accussì fuorti pi’ iucarici a Shangai", ti darei un cazzotto talmente forte da frantumarti la gabbia toracica; "Certi fimmini su' comu a castagna: bieddi ri fuora ma rintra ca' macagna", il genere femminile, a volte, nasconde spiacevoli sorprese; "Ti cugghivu ‘n castagna", colto in flagrante; e ancora...
"Manciati à castagna", espressione che si traduce in "Taci e agisci". Questa affermazione, esclamata comunemente con tono perentorio, è rivolta nei confronti di coloro che piuttosto che parlare, sono chiamati ad agire. Infine, "Livari i castagni ru fuoco". Il detto completo è "togliere le castagne dal fuoco con la zampa del gatto" e deriva da una favola di Jean De La Fontaine, scrittore e poeta francese che narra le vicende di una scimmia che, mentre riposava insieme al gatto vicino al focolare, vide sotto la cenere alcune castagne molto gustose ma difficili da prendere a causa del calore della brace. Con furbizia, la scimmia solleticò la vanità del gatto, lodandone le qualità, e lo convinse così a toglierle dal fuoco. Il gatto si bruciacchiò le zampe, nonostante quel cibo non fosse di suo gradimento.
Il vizio di procurare un vantaggio ad altri, affrontando una situazione problematica per quanto non personale, oppure, al contrario, far correre ad altri i pericoli di un'impresa per poi trarne un vantaggio, sono tipici atteggiamenti del temperamento siciliano: cavuru...come le nostre caldarroste!
Son rotonda e marroncina, son dei boschi la regina, son dei bimbi la cuccagna, e mi chiamano...castagna!
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