Bastarduna o scuzzulati, ficurinnia su!

"Arvulu chi nun ciuri e nun fa frutti tagghialu di sutta a quattru botti"

Autunno è tempo di migrare...e per noi siciliani è tempo di bastardoni! Mi perdonerà il poeta per questo arrangiamento, che tuttavia sembra eloquente e pertinente!

Ci sono alcuni alimenti che sono talmente tipici di una regione o di un paese che ne diventano quasi l'emblema; basta dire mortadella e si pensa a Bologna, pastiera vuole dire Campania, la cotoletta è certamente milanese, la soppressata calabrese! Quando si dice fichi d'india, sfido chiunque a non pensare alla Sicilia e non solo come componente vegetale spontanea onnipresente in tutti i paesaggi di campagna o di mare dell'isola, ma anche come frutta da tavola che in estate e in autunno rappresenta il gustoso completamento del pasto di una tipica famiglia sicula.

Il fico d'india, pianta emblema o, se volete, stereotipo della Sicilia da cartolina, è tra le specie vegetali più resistenti agli stenti delle lunghe estati meridionali ed è per questo che è largamente usata, in Sicilia sia come pianta da frutto che come specie ornamentale capace di valorizzare gli angoli più inospitali dei nostri giardini.

Questo "mostro botanico" come venne definito, fu scoperto da Hernando Cortes nel 1519 in Messico; furono quei mascalzoni dei "Conquistadores" i primi europei a godere delle delizie di quei frutti. Da noi arrivò come fenomeno botanico, una esotica nota verde per ville barocche. Usate soprattutto come deterrente per eventuali malintenzionati che, prima dell'avvento delle recinzioni moderne, avrebbero desiderato introdursi nelle proprietà altrui. "confini naturali ma assai convincenti" .

Il fico d'india (Opuntia ficus indica) è specie che oltre a realizzare una produzione estiva di frutti dolci e carnosi, se forzata, produce in autunno frutti chiamati commercialmente "bastardoni" o "scuzzulati".Sono frutti più grossi del normale ottenuti attraverso una tecnica colturale chiamata "scozzolatura". All'inizio dell'estate, subito dopo la fioritura si procede alla eliminazione di tutti i fiori e delle pale più giovani; l' opunzia, stressata, provvederà ad effettuare una seconda fioritura con un minor numero di fiori dai quali matureranno frutti tardivi, dalle pregiate caratteristiche organolettiche. Così, maturati in un periodo più piovoso, più radi e dunque più grossi, a partire proprio da questi giorni, "presteranno il fianco" al palato di tanti buongustai.

Infatti, mentre i frutti che derivano dalla fioritura ordinaria maturano ad agosto e, avendo compiuto il ciclo produttivo nel periodo di maggiore siccità sono generalmente piccoli, a polpa scarsa e piena di semi, i frutti scozzolati maturano normalmente nel periodo delle piogge e sono caratterizzati da una polpa ricchissima e succosa. Tra le varietà siciliane più diffuse: la Surfarina, a polpa croccante di colore giallo zolfo, la Bianca o muscaredda e la rossa detta anche sanguigna o cularussa. Sono detti burduni, i ficodindia non perfettamente maturi; il nome deriva dal latino burdo o burdus, cioè mulo: in questa fase sono infatti considerati bastardi, come i muli appunto. Ed è da qui che si avrà anche il bastardone di cui sopra.

Il Bastardone, di cui in questi giorni in Sicilia inizia la raccolta, è un vero e proprio tonico, ottimo alleato naturale contro fatica e stress, aiuta a rigenerare le cellule ed è efficace per i problemi legati all'attenzione e alla mancanza di concentrazione, nei casi di iper-eccitabilità nervosa, di insonnia e di depressione. Previene i tremolii incontrollati e il rilassamento muscolare nelle persone anziane o deboli, aumenta le difese dell'organismo, agisce sulla pelle, facilitando la scomparsa di eruzioni cutanee e verruche, facilita la ricrescita dei capelli e delle unghie, agisce favorevolmente sulla digestione ed è un equilibratore psichico che agisce in modo benefico sull'umore. Aiuta ad affrontare i cambi di stagione grazie al calcio, al ferro e ad altre vitamine dalle proprietà antiossidanti, come la vitamina A (sotto forma di beta-carotene) e la vitamina C.

Quanto è fico...

Il fico d'india è inoltre accompagnato da diverse leggende. Si narra infatti che "lu peri ri ficurinnia" fosse considerato velenoso e portato in Sicilia dai Turchi per distruggere, per sterminare i poveri cristiani ma, "....ci fu un intervento diretto del Padreterno che per noi isolani para abbia sempre avuto un occhio di riguardo. Grazie al Suo divino interessamento, i frutti spinosi di quella pianta diventarono buoni da mangiare ed anche benefici..." (Gaetano Basile). Per devozione da allora i contadini mangiano molti di questi frutti alla prima colazione dei giorni di vendemmia; uso che trae origine dalla 'antica abitudine del padrone di far rimpinzare i vendemmiatori, che così avrebbero mangiato poca uva durante la raccolta. In barba alla credenza turca, il succo con un po' di zucchero, fu ottimo rimedio per combattere la tosse, i fiori secchi, trattati a decotto, uno specifico trattamento per le coliche renali e le febbri malariche e come scirve il Pitrè nel "Medicina Popolare Siciliana", un rimedio per i "duluri di ciancu".

Una altra leggenda siciliana narra che da una lite fra confinanti nasca il fico d'India scozzolato. Volendo danneggiare il vicino, un contadino tagliò i fiori sulle piante pensando così di non far sviluppare i frutti. Invece la fruttificazione fu solo ritardata e con le prime piogge vennero fuori frutti più grossi e succosi.

Di questa pianta non buttiamo via niente: scorze e pale servono a nutrire vacche e vitelli quando non c'è più erba; le radici sono perfette per trattenere terreni franosi, con i fiori ci curiamo e i frutti sono una vera delizia. Oltre all'indiscutibile gusto del frutto consumato fresco, dallo stesso è possibile ritrovarne l'impiego per la realizzazione di gustose frittelle, di un particolare rosolio, di granite e di una insolita mostarda, 'u masticutti, esibita in apposite formelle di terracotta e decorata con foglie di alloro.

Eppure, parafrasando un detto popolare, "Per un amore mille...spine", non è tutto oro ciò che luccica. Per accedere alla polpa croccante e succosa del frutto è necessario affrontare un'aspetto poco entusiasmante: raccogliere, pulire e gustare il frutto del fico d'India è, infatti, un problema davvero "spinoso". Tondo e pieno di aculei, sembra volersi concedere solo a chi lo merita!!! Questione di DNA e composizione cellulare. Così, anche una pianta, umile e modesta, è in grado, spontaneamente, di farci da maestro di vita in quanto ad arte seduttiva.

Una raccomandazione: tenete a mente il popolare detto "ficurinnia scuzzulati...ahi, ahi quanti culi aviti attupati"! Un eccessivo quantitativo di fichidindia, infatti, soprattutto se mangiati a digiuno, fanno " 'ntuppari", vale a dire provocano una strana forma di stitichezza causata dal "tappo" che si forma per l'accumulo di semini.  Ergo...non esagerare.

Ancora oggi, specialmente a conclusione delle uscite del fine settimana, resta "sacro" il rito con il quale si conclude la nostra "flânerie": u passìu.E' facile, infatti, fino a tarda notte, incontrare per strada ambulanti che in questo periodo, con rudimentali banchi di vendita si organizzano in quasi tutti i rioni di Palermo per soddisfare u disìu ri manciatari.

Estraendo i frutti da una "bagnina" (tinozza) piena d'acqua "agghiacciata", ove vengono tenuti per neutralizzare le fastidiose spine e, al contempo, raggiungere l'ottimale temperatura per la degustazione, l'ambulante si appresta al taglio con far da chirurgo:intaglia le due estremità del frutto con una incisione orizzontale, sbalza la superficie in senso perpendicolare rispetto a base e punta, tira i due lembi con le dita ed estrae la succulenta polpa dai diversi colori. Roy De Vita,insomma, non saprebbe far meglio!

"Ficu fatta, càrimi 'mmucca e ccu du ficurinnia agghiacciati, m'arricampavu rintra cuntenta e gabbata".