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I Babbaluci

| Federica Cordone | Cucina Siciliana

 

"babbaluci a sucari e fimmini a vasari nun ponnu mai saziari!"

 

 

 

Recita così uno dei proverbi isolani: lumache da mangiare e donne da baciare non saziano mai! Una massima ad indicare due grandi passioni dei siciliani...
I " babbaluci", o "vavaluci", nome dialettale palermitano delle piccole lumache (o chiocciole) terrestri di cui specie piu' diffusa in Sicilia è l'Helix Theba Pisana, sono invertebrati molluschi provvisti di guscio, di piccole dimensioni e caratterizzati da un colorito biancastro con lievissime striature elicoidali bruno-chiaro. 

L'origine della parola babbaluci deriva molto probabilmente dall'arabo "babush" scarpe da donna con la punta ricurva verso l'alto, largamente usate nei paesi arabi e riconducibili alle pantofole di pezza usate in Sicilia e conosciute da tutti con il nome di "babusce". Per taluni, invece, il nome indicherebbe la provenienza, dal greco arcaico "boubalàkion", bufalo, a cui veniva paragonato il "babbaluciu" per via delle corna.

E proprio dalle corna di questi gasteropodi terrestri derivano anche le celebri note di:  "Viri chi danno ca fannu i babbaluci  ca cu li corna ammuttano i balati,  si unn'era lestu a dàrici na vuci, viri chi dannu ca fannu i babbaluci". Canzone popolare che lega metaforicamente le corna dei babbaluci ad una sorta di ostinata determinazione.

Le lumache si possono comprare al mercato, ma anticamente era uso raccoglierle d'estate in campagna fra le "restucce" (la rimanenza del grano raccolto) o fra i rami rinsecchiti dei campi. Dal 24 Giugno, giorno di San Giovanni, queste delizie cominciano ad essere presenti sulle tavole dei palermitani per giungere trionfalmente al massimo consumo durante il mese di Luglio, ed in particolare in occasione del Festino di Santa Rosalia che si svolge in città proprio dal 13 al 15 del mese.

In questi giorni per le vie più popolari di Palermo, ed in particolar modo al Foro Italico (Foro Umberto I°), luogo dove si conclude il festino, fra la sfilata del carro della Patrona, gli odori di gelsomino, di cubbàita e sfincionello prendono, infatti, prepotentemente posto i "muluna (anguria) e i nostri babbaluci, accompagnati immancabilmente da un buon bicchiere di vino o birra "agghiacciati". A tal proposito un altro proverbio siciliano ricorda che: "cu mancia babbaluci e vivi acqua, sunati li campani picchì è mortu", ovvero mai bere acqua per accompagnare questo piatto.

Ora cibo da contadino, ora piatto rinomato...ormai, prelibatezza dei palati di ogni classe sociale, nella storia delle tradizioni gastronomiche siciliane le lumache sono state sempre presenti, e le testimonianze più antiche del loro utilizzo risalgono agli antichi Greci ed al popolo romano. Plinio e Varrone ne hanno scritto e Trimalcione, il mitico buongustaio, le faceva servire nei suoi banchetti arrostite in graticole d'argento. Apprezzate a tal punto che nel 49 a.C., come riporta Plinio il Giovane nella sua "Naturalis Historia", Fulvio Lippino inventò le prime tecniche di allevamento e, per soddisfare la clientela romana non esitò ad utilizzare navi "onerarie", grosse navi da carico normalmente utilizzate in guerra.

Nella medicina popolare siciliana venivano impiegate per curare malattie del fegato, contro la magrezza e nei casi di esaurimento nervoso. Inoltre, venivano utilizzate in veri e propri rituali: schiacciate e unite a poco lievito ("criscienza") si applicavano, in associazione alla recita di apposite litanie, sull'occhio ammalato di congiuntivite o infezioni della pelle. Forse anche per questo, dei babbaluci si fa largo consumo durante questo periodo. Il Festino, infatti, malgrado il suo nome (quasi un vezzeggiativo) è "la Festa", l'evento piu' importante in assoluto per Palermo, contraddistinto, come spesso accade, dall'unione di riti sacri e profani...

Riti propiziatori che si susseguono ancora nella speranza di un rinnovo in positivo per le sorti della nostra amata terra e che si spera, magari come per il passato, leniscano la città dalle sue piaghe... anche se, a ben guardare la situazione attuale della nostra isola, tra le "tre piaghe" esplicitate in Johnny Stecchino (l'Etna, la siccità e il traffico) e quelle sottintese, la "Santuzza" dei tempi d'oggi ha proprio un bel da fare, un compito ben piu' arduo che sgominare la peste così come nel 1624.

Ciò detto...la speranza rimane viva e, su tutti i fronti, ciascuno metta del proprio. Così come piu' volte sottolineato, come avviene in molte delle feste siciliane, religiose e non, nelle manifestazioni e nelle ricorrenze legate ai cicli produttivi, spesso rivisitate dalla tradizione cristiana e con radici pagane più o meno evidenti, anche durante il Festino il cibo occupa un ruolo di primo piano.

Anticamente " u babbaluciaru" era un mestiere definito. Durante la stagione invernale, subito dopo una pioggia, si alzava di buon'ora per raggiungere la campagna, raccoglieva i "crastuni" (lumache grosse dal guscio scuro) e tornava in città abbanniannu: "c'è u babbaluciaru! Haiu crastuni nivuri! Accattativi i crastuni p'a vostra saluti!". Ogni fruttivendolo di zona, specialmente in questo periodo, continua a proporre e vendere babbaluci esponendoli all'interno di grossi panieri di vimini e cummattennu cu chiddi riversi...le lumache, meno sonnolente, infatti, scalando le alte mura delle ceste, fuoriescono per cercare una via di fuga ed i venditori, in tal senso, hanno un gran da fare per arrestare la loro "corsa".

Nelle bancarelle allestite al Foro Italico, lungo la via Messina Marine, nelle stradine e nelle piazze confinanti il "cibo da strada" viene esaltato e i "babbaluci" la fanno da padroni. "Chiluzzo" il re dei babbaluciari della zona è conosciuto da tutti. Il suo "laboratorio" brulica di gente; il bancone adibito alla vendita mostra enormi contenitori di rame (quarare) ricolmi di lumache pronte al consumo e l'aria circostante profuma d'agghia 'ngraciata (aglio soffritto).

Davanti a questo ben di Dio il palermitano trascorre i suoi pomeriggi e spazza via le serate piu' calde culminando con la serata del 14 Luglio, in assoluta contemplazione degli immancabili fuochi d'artificio ed attesissima masculiata ( botti finali ravvicinatissimi e assordanti, tanto amati dai palermitani).

La porzione tipo della quale i palermitani si cibano durante quest'occasione, è il piattino ma quanti piattini di babbaluci possa far fuori un buon palermitano durante u Fistinu, e quante fiumane di vino o birra possa riuscire a tracannare, è un dato inquantificabile. Altre note di colore legate al consumo di queste "ghiottonerie cornute" sono u scrusciu (rumore determinato dal risucchio del mollusco) e l'immancabile lancio delle chiocciole. I palermitani doc, per rendere piu' agevole l'estrazione del mollusco, praticano sulla conchiglia, con un dente canino, un piccolo foro sulla parte opposta all'apertura del nicchio testaceo, in modo da creare un canale d'aria che farà uscire frettolosamente il babbalucio dal suo guscio...e comu s'inni prianu cirtuni: livatici sucata (risucchio) e cannistru (secchio apposito dentro i quali lanciare le chiocciole svuotate) e il piacere è dimezzato.

Altra citazione a proposito dei babbaluci, riguarda il rapporto mamma/figlio o zita/zito. Infatti, quando un figlio o una zita assumono quel tipico comportamento appiccicoso, sempre alla ricerca di baci e bacini, conquistano l'imprimatur di "babbalucio/a", che in tal senso si riferisce all'elevato grado di appicicoseria.

Per concludere in bellezza, rendendo omaggio ad un grande attore palermitano, Tony Sperandeo, ricordiamo altre due caratteristiche del babbalucio, "l'animale piu' filosofico e intelligente al mondo". Perché? "perché appena nasce è già proprietario di casa e se la porta appresso; s'innamora e si sposa e ha due case; genera tanti babbalucini raggiungendo un'agglomerato di case ed in ultimo è l'unico animale che anche da morto...ha la sua soddisfazione"

 

"T'imploramu bedda Signura: 'sta genti talìa...Viva Palermu e Santa Rusulia!!"

 

 

Ingredienti per n. (?) persone: 1Kg di lumache, 5 spicchi d’aglio, un mazzetto di prezzemolo, olio extravergine d’oliva, sale e pepe .b.

 

 

 Preparazione

 

 Lavare accuratamente le lumache. Metterle in acqua in un grosso tegame del quale inumidirete i bordi per impregnarli con il sale (quest'espediente non permetterà alle lumache di fuoriuscire dal tegame). Lasciare riposare per qualche minuto in modo che i molluschi riconquistino fiducia dopo il lavaggio e fuoriescano un po' dal guscio. A questo punto mettere sul fuoco a fiamma bassissima e non appena le lumache usciranno dal guscio aumentare la fiamma. Aggiustare con un po' di sale e portare a leggero bollore per pochi minuti, avendo cura di eliminare le impurità che risalgono a galla, aiutandovi con un mestolo forato o schiumarola. Far cuocere per circa cinque minuti, quindi sciacquare un attimo in acqua corrente e mettere da parte.

Intanto preparare un soffritto con abbondante olio, aglio tagliato grossolanamente, (o semplicemente in camicia schiacciato) e il prezzemolo tritato. Aggiustare di sale e pepe e aggiungere le lumache risciacquate. Servire spolverando con pepe e abbondante prezzemolo tritato


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

· Enzo Ganci · Editoriali

MONREALE, 15 settembre – Presentiamo oggi la nuova veste grafica di Monreale News, il nostro quotidiano, al quale diamo un nuovo look, un nuovo aspetto.

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