Il gelo di mellone

"N'astati, tri sunnu li boni muccuna: ficu, persichi e muluna..."

L'estate si avvicina e con essa l'anguria, "u' Muluni", che consumata fredda è un must della tradizione siciliana.

Si sa....il termine più appropriato, che ripete quello dei botanici, è cocomero, latino scientifico Citrullus lanatus; e cocomero si dice in tutta l'Italia centrale, mentre nell'Italia meridionale l'espressione comune è mellone d'acqua, per distinguerlo dal mellone di pane, quello che tutto il resto d'Italia chiama semplicemente melone o popone.

Il grosso frutto delle cucurbitacee è coltivato in gran quantità nelle nostre terre siciliane e nel periodo estivo raggiunge la sua maturazione. Appena arriva l'estate, con l'aumentare della temperatura, si cerca di mangiare qualcosa che possa contribuire al bisogno di rinfrescarsi. E' da tutti consigliato non mangiare cibi pesanti, fritture, grassi, ma... pochi a Palermo rinunciano a un buon panino con le panelle o con la meusa anche sotto il sole cocente. D'altra parte ai palermitani piace molto mangiare fuori casa, all'aperto, seduti ad un chiosco in compagnia, e tra i suddetti panini, frutti di mare, stigghiole etc, le tentazioni sono forti.

Meno male però che ai palermitani le alternative non mancano mai, ed allora trovano comunque il modo per "ripulirsi la bocca" dopo averla riempita di cibi untuosi, rinfrescandosi con una bella fetta "ri muluni agghiacciato"

L'anguria, per i palermitani "U muluni", è una "grande passione", alternativa ottimale al "monotono e inflazionato" gelato e frutto estivo per eccellenza.

In Sicilia, basta girare per le campagne e vederne la grande produzione, per capire il grande amore che viene riservato a questo frutto dalla polpa rossa acquosa e zuccherina, ricca di semi neri, dalla buccia molto spessa color verde cupo.

In città, dal centro alla periferia, durante tutte le ore del giorno, ci sono dei camion di diverse grandezze, posteggiati in "luoghi strategici", con la parte posteriore aperta, dalla quale fuoriesce una quantità enorme di muluna, tutti ordinati a mo' di piramide. Il venditore di anguria detto "u mulunaru" è quasi sempre un omone alto e grosso, abbigliato con canottiera colorata che, proprio per via della mole, sotto la tipica canotta sembra nascondere il "frutto" migliore! Le insegne che servono ad attirare la clientela, sono quasi sempre dei disegni penzolanti fatti a mano che ritraggono la fetta di anguria con i suoi colori accesi e l'indicazione "quasi leggibile" del prezzo.

Non è difficile incontrare per le strade di Palermo lungo i marciapiedi, acquartierata in una rientranza una grossa pila di "muluna" tutti ben disposti pronti per essere tastati dal "mulunaru", il quale apparecchia il tutto sia per la vendita della mercanzia che per la "prova assaggio" .

"I muluna a scatula chiusa"...infatti, non li compra quasi nessuno. Per quanto di bell'aspetto esteriore, soltanto i venditori esperti distinguono la bontà del frutto senza neanche aprirlo e per superare la ritrosia e la diffidenza dei clienti, spesso, i venditori danno al consumatore la possibilità di gustare, on the road, una fetta del mellone scelto.

Anche questa è un'arte...Dopo aver comprovato la maturazione con la palpazione del frutto "tuppuliata o toccata del culo" (battere, schiaffeggiare con il palmo della mano sulla buccia) e conseguente ascolto del rumore di ritorno, come fanno i bambini quando cercano di capire cosa c'è dentro l'uovo di pasqua, u mulunaru procede alla degustazione per dimostrare la propria onestà e la personale dote di esperto nel settore.

A seconda dell'esigenza del consumatore i metodi dell'assaggio possono essere 'ntaccu o u' tagghiu. Nel primo caso, si pratica un foro, generalmente quadrato, profondo fino al "civu" (cuore) che subito dopo l'assaggio viene ricoperto dal tassello di buccia. Nel caso del taglio, invece, u mulunaru, provvisto di un lungo coltello, procede all'incisione del frutto da polo a polo, in modo rigorosamente verticale.

In ogni caso, quando il compratore tornerà a casa e aprirà con soddisfazione u' muluni , non sarà mai del tutto contento e ci sarà sempre qualcuno in famiglia pronto a dire "è grevio" (scipito), o peggio ancora " unn'avi sapuri ri nienti" ...ma è normale, in tema di muluna, qui siamo tutti esperti e pignoli!

U muluni, oltre che in strada ed a casa si mangia in spiaggia, portato orgogliosamente al mare "sutt'ascidda", quasi fosse un trofeo...ed in questo contesto, tradizione vuole, che il frutto assuma la caratteristica di provvedere a " manciari, viviri e lavarisi a facci"!

E che dire poi "ru scrusciu" (rumore) determinato dal risucchio godereccio del liquido zuccherino generato durante il morso, oppure del "dubbio amletico" circa l'eliminazione dei semini... "sputarli ( dove e come) o ingoiarli, questo è il dilemma", e infine del "modus cibandi" di coloro che se in compagnia, con infinita pazienza, si armano di coltello e forchetta limitandosi a gustare la parte edibile del frutto ma se da soli o in famiglia..."picca ci manca e s'arrusicanu puru u' taddu ".

Il mellone......il frutto piu' amato; e la reale motivazione che spinge i palermitani ad amarlo tanto non è legata soltanto alla sua dolcezza né alle proprietà intrinseche del frutto stesso... per il palermitano doc, infatti, è fondamentale il meraviglioso richiamo cromatico ad effetto patriottico.

E allora avanti col coro: u' culuri c'aviti a taliari!

Parecchi sono inoltre i modi dire siciliani che tirano in ballo il mellone..."i matrimuoni su' muluna chiusi", per sottolineare che ci si rende conto d'aver avuto piu' o meno fortuna soltanto dopo averli contratti; "fimmina mulunara", per indicare una signora dal décolléte generoso; "avi a testa ca' pari un muluni", per indicare un uomo dalla testa rasata o dalla forma ovoidale; "avi na' panza ri mulunaru", "complimento" reso a chi  ha trascurarto il rapporto con la bilancia;  "a fimmina è comu li muluna, mmenzu a centu ci nn'è bona una", ( la donna è come i melloni, tra cento ce n'è buona una)...ma, permettetemi di affermare che tale considerazione popolare non può che essere considerata retaggio culturale della società patriarcale di un tempo o comunque frutto dell'ingenerosità maschile di una volta.

 

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