E dopo la vampa..."nguantiera ri sfinci meno una"
Giovedì scorso abbiamo festeggiato San Giuseppe, una festa particolarmente amata e che si celebra in famiglia con una kermesse di piatti legati alla tradizione come la gustosissima pasta con le sarde, arricchita dal finocchietto selvatico, e, neanche a dirlo, le apprezzatissime sfince.
San Giuseppe è considerato il "Protettore dei bisognosi" e per questo, tradizionalmente, in Sicilia, per il 19 Marzo, si allestivano dei banchetti ai quali erano invitati i poveri. La devozione nei confronti di S. Giuseppe si concretizza, infatti, nella tradizione della "cunzata ri tavuli". Non si hanno certezze sull'origine di tale "banchetti" ma sembra che richiamino la mensa pasquale imbandita dagli Ebrei e riscattare il Santo dall'inospitalità ricevuta quando, a Betlemme, cercava un riparo per lui e per sua moglie, "Maria".
Questa usanza, ultimamente considerata un salutare salto nel passato che, diversamente dalla tradizione, più che la pancia, rinfrancava lo spirito, anticamente colmava soprattutto quell'infinito languore provocato dall'indigenza generale, triste caratteristica di molte zone della nostra amata isola. Una tradizione che sembrava affievolirsi ma che recentemente, a causa della grave situazione economica del nostro Paese, sembra invece riemergere con notevole intensità. In alcuni punti di ritrovo, infatti, sono state organizzate mense ed allestiti banchetti per i "tanti" e "nuovi" bisognosi.
A seconda delle località, queste mense acquistano nomi diversi e caratteristiche differenti ma che siano “Tavole”, Cumbiti”, Banchetti” o “vuccate”, sono sempre e comunque motivi per ricordare memorie sopite e ragioni in più per essere solidali con il prossimo. Tra le tradizioni siciliane, più ricche di significato, spiccano inoltre quella del "Sacro Manto" e l "Altarino di San Giuseppe". La prima prevede che, al fine di ricordare gli anni di vita che San Giuseppe trascorse assieme a Gesù, si recitino le preghiere del Sacro Manto per 30 giorni consecutivi. L'"Altarino di San Giuseppe", invece, è l'altare realizzato in onore del Santo, collocato nei pressi del "banchetto", in un punto centrale e ben visibile a tutti i commensali.
In aggiunta poi alle numerose manifestazioni religiose che vanno dalle processioni, alla benedizione del pane, alle tavolate comuni offerte ai poveri, la festività di San Giuseppe è caratterizzata dal rito della vampa (falo'-fuoco), il cui antico significato è quello di "scaldare i bisognosi", oltre che glorificare il Santo. La sera della vigilia, tra le vie della città, ancora oggi vengono accatastate casse di legno, tavole e roba vecchia, cui viene dato fuoco tra le grida di grandi e bambini che urlano in coro "Viva S. Giuseppi". Piu' alto e grande sarà stato il falo' piu' ci si sarà ingraziati il Santo per le sue benedizioni. Questo rito, un "tantino pericoloso" (i vigili del fuoco, ogni anno, hanno un bel da fare), ma molto suggestivo, ha in effetti origini precristiane legate al culto del sole ed ai festeggiamenti legati all'equinozio di primavera.
Per la festa di San Giuseppe, il primo piatto che moltissimi siciliani avranno gustato è 'a pasta chi sardi, ma la protagonista assoluta, impazientemente attesa al termine del pranzo, orgogliosamente servita, è la sfincia, demolitrice di ogni regola del galateo nonchè stimolatrice d'acquolina in esagerate quantità! Una sorta di choux fritto ricoperto di miele o zucchero, riempito di crema di ricotta o semplicemente bagnato nel vino cotto. La sfincia rimane uno dei dolci piu' apprezzati della pasticceria siciliana, arrivato a noi grazie all'inventiva ed alla capacità delle suore del Monastero delle Stimmate, a Palermo. Un dolce che presenta caratteristiche indiscutibili: forma irregolare e pasta morbida, con grosse alveolature interne, rigorosamnete stracolme di ricotta zuccherata.
L'origine del nome di questo dolce segue diverse correnti di pensiero: si pensa derivi dal latino "spongia" (spugna) o dal soprannome probabilmente conferito dagli arabi "sfang", che altro non erano se non impasti fritti, colati esteriormente con del miele o spolverati di zucchero. Le piu' conosciute ed amate, però, sono le sfince ripiene e decorate da quella risorsa inesauribile di dolcezza che è la crema di ricotta, praticamente onnipresente nei dolci della tradizione siciliana.
E' un dolce buonissimo che, a mio parere, custodisce l'essenza della cucina palermitana: la frittura, cottura che in assoluto a Palermo e dintroni ha sempre la meglio, la ricotta, la variante cromatica derivante dall'uso dei frutti canditi, il pistacchio siciliano, smeraldo gastronomico per eccellenza, e quel particolare accostamento di dolce e salato che oltre a colpire positivamente il palato, rinvigorisce anche l'animo umano!
La Sfincia è talmente buona ed apprezzata che la si può trovare praticamente tutto l'anno nelle pasticcerie ma, badate bene, non sono tutte uguali. Ogni donna ha la sua ricetta e ritiene che la propria sia la vera, unica e sola. Non meravigliatevi! La sfincia nel mondo femminile è una cosa seria! Tecniche e accorgimenti che si tramandano da madre in figlia attraverso quel famoso testamento culinario costituito dai vecchi quaderni imbrattati di chissà quale salsa oppure da laboratori familiari all'interno dei quali i saperi vengono tramandati in silenzio, scanditi dal "cioffi, cioff, cioff" della pasta che sbatte velocemente.
Una vecchia tradizione vuole, anche, che le sfince siano preparate dalla suocera per esser omaggiate alla nuora. I maligni, in proposito, sostengono che sia un modo per "addolcire" i rapporti spesso tesi fra le due donne di famiglia!
La sfincia appartiene anche ad un modo di essere o intendere. Il detto: "Sfincia sfatta", sta per persona nè abile nè affabile; "pari 'na sfincia", può avere tre significati: essere giudicati malconci oppure, robusti o gonfi d' orgoglio. Il senso naturalmente dipende da come è pronunciata l'espressione. Nel caso in cui, però, con l'intento di attestare nei confronti di qualcuno quanto questi sia "carico d'orgoglio", sarà preferibile (soprattutto a scanso ri na' boffa ) dire " hai 'u pettu unchiu comu na sfincia", espressione popolare usata per attestare un elevato indice di soddisfazione. "Sfinci c'è!" è un'espressione per negar tutto, mentre, "Sfincia e sfungia", significa gonfia e sgonfia;" muoddu comu na sfincia", è un modo di dire rivolto a chi fisicamente rappresenta la morbidezza.
Inoltre, non chiedete mai ad una donna indaffarata "cosa c'è da mangiare" perché potrebbe replicare "sta sfincia", risposta che non lascia intendere nulla di buono ed infine "Jttari sfinci", vuole significare affaticarsi inutilmente (ammàtula)....quanti provano questa sensazione!!!
N.B.: "La speranza è una buona prima colazione, ma spesso è una pessima cena", non chiedetevi quindi chi dal vassoio ne ha sottratto una!
Ingredienti (dose per sei persone): 250 gr di acqua, 180 gr. di farina 00, 50 gr. di burro, 150 gr. di zucchero a velo, 6 uova, 1 cucchiaino di lievito in polvere, 400 gr di ricotta di pecora, 50 gr di cioccolato in gocce, scorze d'arancia candita, granella di pistacchio, ciliegie candite, olio di semi q.b., 1 cucchiaino di sale.
Preparazione
Versare l'acqua in un tegame; aggiungere il burro il sale ed un pizzico di zucchero.
Portare in ebollizione, togliere dal fuoco ed in un sol colpo immettere la farina. Rimettere sul fuoco e cominciate a mescolare energicamente fino a che l'impasto non si attacchi alle pareti delle pentola. Togliete dal fuoco e fate intiepidire l'impasto. Aggiungere uno alla volta le uova, fino al loro totale assorbimento. Infine mettete il lievito e lasciate riposare qualche minuto. Le bollicine che si formeranno sulla superficie dell'impasto, indicheranno l'esatto tempo di lievitazione.
A questo punto prendete cucchiaiate di impasto e friggetele in olio bollente. Appena gonfie e dorate, togliete le sfince, mettetele da parte ad assorbire l'olio in eccesso.
Nota importante: OLIO o STRUTTO?
Sono sicuramente piu' buone se fritte nello strutto. Al gusto non si avverte untuosità e si mantengono belle morbide, inoltre, la cottura viene fatta alla temperatura giusta, dato che lo strutto raggiunge il suo punto di fumo più lentamente.
Se friggete in olio di semi, sarà bene procurarvi due padelle, in una mantenete un olio più tiepido e nell'altro una temperatura più alta, in modo da effettuare una prima cottura nell'olio tiepido e la seconda, in olio più caldo.
Preparazione della crema di ricotta
Lasciare scolare la ricotta per almeno 12 ore, in modo che perda tutto il siero. Una volta asciutta, schiacciare con i rebbi di una forchetta, unire lo zucchero e lasciare macerare in frigo per 3 - 4 ore.
A questo punto la ricotta va raffinata, passandola al passaverdure (operazione velocissima, che vi permetterà di avere una crema perfetta). Unire le gocce di cioccolato e...divertitevi a riempire e ricoprire le sfince, decorandole in superficie con granella di pistacchio, ciliegie e scorza d'arancia candite!
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MONREALE, 15 settembre – Presentiamo oggi la nuova veste grafica di Monreale News, il nostro quotidiano, al quale diamo un nuovo look, un nuovo aspetto.