Piromani di San Martino, la macchina dei Cannarozzo il primo indizio utile

Il capitano Volpe: “Per le indagini impegnati due dipartimenti della Procura di Palermo

MONREALE, 27 marzo – A fare da “spia” probabilmente è stata la macchina. Quella della famiglia Cannarozzo, più volte vista vicino ai luoghi di innesco. Una presenza troppo frequente per non destre sospetto, per non mettere i carabinieri sull’avviso che proprio padre e figlio potessero avere delle connessioni materiali con quei roghi.

È stato così che sono partite le indagini condotte dai carabinieri della Compagnia di Monreale guidata dal capitano Guido Volpe, che nell’estate di due anni fa, una delle più “torride” degli ultimi anni, sotto il fronte incendi, fece della lotta ai piromani un vero proprio punto di orgoglio.
Adesso, fortunatamente, le idee sono un po’ più chiare e non è escluso che altri roghi, presto possano avere una paternità. Uno su tutti, quello di Casaboli del 2 agosto del 2017, quando, dopo un inferno di più di dodici ore andarono in fumo circa ottocento ettari di bosco.


“Quando abbiamo capito che i Cannarozzo potessero avere dei legami con quegli incendi – spiega il capitano Volpe – li abbiamo monitorati e da questa attività abbiamo scoperto tante cose. L’indagine è stata molto complessa e difficile, soprattutto a causa della vastità del territorio da controllare ed ha coinvolto ben due dipartimenti della Procura della Repubblica: quello che riguarda i reati comuni e quelli del reati contro la Pubblica Amministrazione”. Le indagini, che hanno visto l’incessante opera dei procuratori aggiunti Ennio Petrigni e Sergio Demontis e dei piemme Alfredo Gagliardi e Gaspare Spedale, hanno richiesto anche l’utilizzo di parecchi uomini dell’Arma: quello del Nucleo Operativo e della stazione di San Martino delle Scale.
In tanti si sono chiesti cosa ci possa essere alla base di un gesto così sconsiderato, nel quale oltre a mandare in fumo centinaia di ettari di bosco, si mette a repentaglio l’incolumità umana e l’integrità delle abitazioni. “Da quello che è emerso dalle indagini – dice ancora Volpe – sembra che il motivo sia da ricercare nel fatto che il vallone tra Piano Geli e il Torrente d’inverno è pieno di canne, che, se bruciate, avrebbe fatto “affiorare” tutti i rottami abbandonati nella zona. Particolare non secondario considerato che i Cannarozzo erano soliti rubare materiale ferroso, come coperchi in ghisa dei tombini, pezzi di guard rail e motoseghe. Dalle indagini non emergono motivazioni legate a eventuali speculazioni edilizie”.