Film di genere thriller del 2019, durata 130 minuti, diretto da Donato Carrisi, prodotto da Gavila, Colorado Film e distribuito da Medusa Film, con Toni Servillo, Dustin Hoffman, Valentina Bellè e Vinicio Marchioni. La pellicola è ambientata all’interno di una metropoli contemporanea, afflitta da un caldo torrido, in un’epoca però non definita, in quanto contrastata dalla presenza di automobili meno recenti e strumenti tecnologici obsoleti, suggerendo così, al fruitore, i dettami dell’impronta intrecciata che abbracciano la scenografia e la stessa trama. “L’Uomo del Labirinto”, tratto dall’omonimo romanzo di Carrisi (Longanesi, 2017), racconta della tredicenne Samantha – interpretata da Valentina Bellè, la Dori Ghezzi del film Fabrizio De Andrè - Principe Libero (L. Facchini, 2018) – rapita una mattina d’inverno sul tragitto per andare a scuola, ritrovata inspiegabilmente quindici anni più tardi, tra le paludi di un bosco. Ad approfondire la vicenda, oltre alla Polizia locale, intervengono due personaggi con obiettivi differenti, quali il dottor Green – personificato dal premio Oscar Dustin Hoffman – e l’investigatore privato Bruno Genko – Toni Servillo – viaggiando parallelamente come due rette e destinati anch’essi ad “incontrarsi” – secondo Euclide – in un punto all’infinito.
Il primo personaggio è un “profiler”, dall’ animo pacato, che attende il risveglio della ragazza seduto sulla sua stanza dell’ospedale di Santa Cristina – nome ideale di una clinica, in memoria della Santa Patrona protettrice degli Infermieri – per riuscire ad entrare nella sua testa, al fine di svelare l’identità del rapitore, percorrendo insieme quel labirinto – descritto da Samantha – scandito da pareti spigolose costituite da superfici di roccia, che sembrano cambiare ritmicamente la configurazione del percorso.
“La caccia non è là fuori, ma dentro la tua mente.”
L’investigatore Genko, invece, in uno stato di rassegnazione, dall’abito sudicio e, affranto da una grave malattia, trova nel caso di Samantha l’ultimo stimolo della sua carriera accettando arbitrariamente questa commissione – già rifiutata quindici orsono quando, i disperati genitori della tredicenne, gli chiesero di risolvere il caso – attraverso una lotta contro il tempo.
“L’animale più difficile da cacciare è l’uomo.”
Entrambi alla ricerca di un uomo –“sadico consolatore” – con la maschera da coniglio “e gli occhi rossi, a forma di cuore”, simile al volto del lagomorfo romanzato di Alice nel Paese delle Meraviglie e, al contempo, differente dalla maschera metallica del personaggio che si manifesta allo schizofrenico Donnie – Jake Gyllenhaall – in Donnie Darko (R. Kelly, 2001) attraverso gli specchi.
“Sam, ho capito perché non c’erano specchi nel labirinto. Non voleva che sapessi che il tempo passasse!”
L’opera, attraverso la scenografia, tende ad alternare luoghi claustrofobici quali lo scantinato di una casa famiglia – colmo di oggetti di bambini che vi hanno vissuto e di possibili indizi – e il sotterraneo di una chiesa, con un titanico ambiente come il Limbo, costituito da un’aula inquadrata da un archivio poligonale di loculi, restituendo inoltre un’angusta tavola calda in stile country, come l’horror di Rob Zombie, spremendo le meningi dello spettatore, proprio come la pallina antistress tra le dita del dottor Green mentre tenta di entrare nella mente di Samantha, contemporaneamente alle indagini dell’investigatore Genko.
“Questo Profiler sta cercando un uomo adulto. Io, invece, devo trovare un bambino!”
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