Cerimonia alle ore 11 a piazza Canale, luogo dell’eccidio
MONREALE, 3 maggio – Il capitano Emanuele Basile, comandante della Compagnia dei carabinieri di Monreale, era un uomo coraggioso. Un uomo che sapeva benissimo di poter pagare in prima persona il prezzo di delicatissime indagini che svolgeva sul conto di Cosa Nostra.
Sapeva di avere scoperchiato una pentola bollente, nella quale era possibile mettere le mani sui traffici illeciti del clan dei corleonesi che avevano deciso di dare l’assalto alla diligenza della città. Per questo doveva essere eliminato.
Ma la sua eliminazione non doveva passare inosservata. “Doveva” avvenire in maniera eclatante, davanti a tutti e nel posto dove tutti potessero vedere. Difficile trovare un posto “migliore” di piazza Canale, la sera dei festeggiamenti del Santissimo Crocifisso, gremita da migliaia di persone, così come avviene ogni anno, quando tutta Monreale è in strada per festeggiare il Santo Patrono.
Basile aveva partecipato al ricevimento che si era tenuto a Palazzo di Città e stava tornando a casa, assieme alla moglie ed alla figlioletta Barbara, che allora aveva quattro anni.
I killer lo aspettavano al varco, sapendo che avrebbe percorso il tragitto di via Pietro Novelli, per arrivare in caserma (l’attuale Comando della Polizia Municipale), che dista poche decine di metri dal luogo dove l’ufficiale fu ucciso.
Si confusero tra la folla, bivaccando nei locali vicini. Quando il capitano passò da lì partì la raffica di colpi che non gli diedero scampo. Basile, istintivamente, forse in un estremo ed eroico atto di protezione paterna, fece scudo col corpo, evitando che i colpi raggiugessero la figlioletta che teneva in braccio. Una delle pallottole raggiunse pure la moglie, “miracolata”, si disse, da un fregio d’argento che ornava la sua borsa e che evitò che lo sparo arrivasse al suo corpo.
Ci furono scene di panico indescrivibile, un comprensibile fuggi fuggi generale che in tanti ancora ricordano bene. Il cadavere dell’ufficiale tarantino, poco più che trentenne, però era rimasto sul selciato e con esso il terrore dei monrealesi perbene che con la fine del carabiniere vedevano cadere le loro speranze di riscatto e di liberazione dal giogo mafioso.
Da quel giorno, poi, cominciò una lunghissima storia processuale per arrivare ad individuare i colpevoli dell’agguato mafioso ordito ai danni dell’ufficiale. Alla fine emerse che il commando era composto da Vincenzo Puccio (poi assassinato nel carcere dell'Ucciardone a colpi di bistecchiera), Armando Bonanno (successivamente "inghiottito" dalla lupara bianca) e Giuseppe Madonia, della "famiglia" di Resuttana. A fornire il supporto logistico, invece, fu Giovanni Brusca, così come egli stesso ammise.
Monreale, ancora oggi, ricorda il capitano Emanuele Basile nella toponomastica comunale: a lui è intitolata una piazzetta adiacente la via Venero, ma soprattutto a lui è stato intitolato il liceo classico, tre anni dopo la sua scomparsa.