Non era il terremoto, erano i gol di Pablito

Nessuno come lui ha saputo regalare emozioni all'Italia intera

Non era il terremoto. E nemmeno l’uragano. Erano i gol di Paolo Rossi, quelli del 5 luglio 1982, quando si giocava Italia-Brasile al mondiale di Spagna. Quelli di un pomeriggio di caldo torrido di un’Italia che provava a crescere e ad affrancarsi dalle ristrettezze degli anni precedenti.

Chi quel giorno lo ha vissuto, lo può testimoniare. A quell’epoca la gente non aveva i condizionatori in casa e per trovare un po’ di ristoro dalla calura opprimente si stava tutti con le imposte spalancate, nella speranza di creare quel minimo di ventilazione che consentisse di non soffocare. Quel pomeriggio, però (si giocava alle 17,15), oltre a qualche alito di vento nelle case entrava il boato assordante di tutta l’Italia. Ad ogni gol degli azzurri i decibel facevano tremare i vetri e ballare i mobili, come una vera e propria scossa tellurica di chissà quale grado della scala Richter. Si gridava, si gioiva, ci si abbracciava, si piangeva. Si cantava l’inno tutti assieme. E poi si usciva per strada con ogni mezzo: a piedi, con i motorini, con le macchine. A Monreale ci si immergeva nella vasca della piazza, quella del “Pupo”, dando vita al più bel caos stradale di cui si abbia memoria. Un “inferno paradisiaco” che chi c’era a quei tempi non dimenticherà mai più. Dovesse campare cent’anni.

Questo marasma, questo meraviglioso marasma, aveva un nome e un cognome: Paolo Rossi, per tutti Pablito, l’uomo, come lui stesso scrisse nel suo libro autobiografico, che “fece piangere il Brasile”. Quel 3-2 allo stadio “Sarria” di Barcellona, col cuore in gola, con gli indumenti zuppi di sudore, con la voce tirata e con le pulsazioni a mille, chi lo ha vissuto lo terrà scolpito per sempre nel suo cuore tra i ricordi più cari della sua vita. Poi la stessa scena si ripeterà altre due volte nei giorni successivi: l’8 e l’11 luglio, quando gli azzurri sconfissero rispettivamente la Polonia per 2-0 in semifinale e la Germania per 3-1 nella finale di Madrid. Ed il protagonista era sempre lui, Paolo Rossi, che con i suoi gol consegnò all’Italia un titolo mondiale, il terzo della storia calcistica azzurra, vinto contro ogni pronostico, contro ogni logica.
Oggi, invece, un male incurabile ha mostrato a Pablito il cartellino rosso, strappandolo, a soli 64 anni, agli affetti della sua famiglia ed a quelli di una Nazione intera, che ancora oggi, malgrado siano passati 38 anni, non ha dimenticato le sue imprese e soprattutto le grandissime emozioni che queste hanno generato.
Paolo Rossi, non un gran fisico, non un gran tiro, non una tecnica strabiliante, ma un’intelligenza calcistica ed una scaltrezza di altra categoria - ci vuol poco ad affermarlo - resterà per sempre nella storia del calcio italiano, ma anche e soprattutto in quella recente del nostro Paese perché, anche se – come dice Venditti – “era un ragazzo come noi”, nessuno come lui ha saputo regalare felicità. Da Vipiteno a Lampedusa, da Bardonecchia a Santa Maria di Leuca. L’Italia gliene sarà sempre grata.