È sempre più Formula Mercedes: Hamilton domina in Belgio e dedica la vittoria all'amico Boseman. Mai così male le Ferrari
MONREALE, 31 agosto – Il comandamento sul quale le corse e i suoi interpreti gettano le proprie basi è uno e solo: vincere. Ogni volta che si spengono i semafori, che si stacca il piede dalla frizione, che si sgombra la mente, l'unico obiettivo che i piloti si pongono è quello di vedere prima di chiunque altro la bandiera a scacchi. Tutti hanno storie e motivazioni diverse, ma il traguardo rimane quello.
E la differenza tra un pilota della domenica e un campione è la fame di vittorie che questo mostra al mondo di avere, non sentendosi mai top, ma pensando già al prossimo appuntamento, al prossimo trofeo. E la fame di vittorie che ogni gara mostra Lewis Hamilton, ad oggi, non è seconda a nessuno. Una fame superiore anche a quella dei due alfieri della Ferrari, Leclerc e Vettel, relegati a lottare nelle retrovie nonostante il loro potenziale e il loro talento, che si meriterebbe una macchina degna del nome della Scuderia con la quale corrono.
Una fame, che descrive il sei (quasi sette) campione del mondo: il mondo non gli ha mai regalato nulla, né a lui né alla sua famiglia, solo il suo talento gli ha aperto le strade al mondo che adesso è ai suoi piedi, rendendolo così aggressivo e assetato di numeri.
E come il vino, più invecchia più migliora. Lui che aveva un difetto, quella testa che a volte non rispondeva più e faceva di "testa propria", portandolo ad errori grossolani ed a chance sprecate e titoli persi. Il Lewis di oggi è probabilmente il miglior esempio di completezza per un pilota di Formula Uno nell'ultimo decennio, se non anche oltre. Un uomo, sulla soglia dei trentasei anni, che si è messo in prima linea contro tutto ciò che c'è di sbagliato nel nostro globo, dall'inquinamento ambientale al razzismo. E lo fa lottando, come meglio sa fare, in pista, diventando imprendibile per gli altri comuni mortali. Lui corre per questo, e vince per chi lo vede come un eroe, per i suoi amici, per la sua gente, per i suoi ideali, diventando un'icona non solo a livello sportivo, ma anche e soprattutto a livello globale.
Ed anche ieri in Belgio non si è smentito: ha corso per questo e ha vinto per loro. Era dannatamente determinato a dominare ogni centimetro della pista più lunga del Mondiale, perché doveva dedicare la vittoria ad un suo amico, scomparso troppo presto, che - come lui - era un'icona del mondo afro-americano, dotato di un talento straordinario, che usava per dare vita ad un eroe dai fantastici che donava in eredità alla sua gente, al suo popolo, affinché avessero qualcuno da ammirare, qualcuno in cui immedesimarsi, qualcuno in cui potessero rifugiarsi quando fuori piove.
Ma la vita - si sa - non è un fumetto o un film con una trama già scritta. È imprevedibile e piena di colpi di scena sia belli che brutti, purtroppo. Non possediamo il copione del nostro futuro, ma possiamo benissimo scrivere il nostro presente, la nostra storia, con il filo del destino come co-producer. Ed è questa l'eredità che si lascia, quando arriveranno i titoli di coda. Alla fine, come il Re T-Challa, il personaggio che più di tutti ha regalato al mondo il talento smisurato di Chadwick Boseman, non smetteremo mai di sognare un domani migliore. Perché "la morte non è un punto di arrivo, ma solo una tappa." In Wakanda, come nel mondo.
Dedicato a Chadwick Boseman