Uomo partita? Coronavirus

Saltano quattro incontri della 25ª giornata per rischio contagio da Coronavirus: e adesso? Riflettiamoci insieme

MONREALE, 24 febbraio – Scherzi a parte, la situazione - stando almeno alle ultime notizie trapelate dal fronte nazionale - è tutt'altro che meritevole d'ironia. Tre sarebbero infatti le vittime accertate (così si legge nei maggiori media italiani) affette da Covid-19, denominazione scientifica della, più diffusa, vulgata Coronavirus. Senza la benché minima pretesa e senza trasfigurare l'identità più propria di questa nostra rubrica settimanale, dunque, proviamo a dipingere - pur sempre sulla base di effettive dichiarazioni già rilasciate - lo scenario a noi prossimo, in ambito sportivo, delineando per quanto ci è possibile gli effetti (e conseguentemente i provvedimenti) della decisione attuata dal Coni di rinviare a data da destinarsi tutte le competizioni sportive nell'area, ad oggi, interessata dal virus. 

Il Governo si appresta ad emanare misure urgenti per fronteggiare e contenere in modo particolarmente incisivo i casi di contagio da Coronavirus. Tali misure comprendono anche il mondo sportivo per l'esigenza di prevenire i rischi e tutelare al meglio la salute di tutti coloro che, a vario titolo, partecipano alle manifestazioni e alle competizioni. Le chiedo [...] di sospendere tutte le manifestazioni sportive [...] nelle regioni Lombardia e Veneto. E' ormai la sera inoltrata del 22 febbraio quando questa comunicazione si deposita, ineluttabilmente, sulla scrivania di Giovanni Malagò - numero uno del Coni, vertice di ogni manifestazione sportiva sul suolo italiano. Mittente: Vincenzo Spadafora, ministro delle politiche giovanili e dello sport. Una catena di eventi da quel momento in poi si innesca come in un domino troppo rapido da arrestare. Una cacofonica e metallica sinfonia di notifiche squarcia l'ordinario tam-tam notturno di un ordinario ''sabato qualunque'' di centinaia di migliaia di appassionati. In pochissimi istanti, sufficienti perché social e piattaforme si popolino come sospinti da febbril fervore, l'intero mondo dello sport (e ciò che intorno ad esso si muove) perde letteralmente le coordinate. Sfondato il tetto dei 150 individui contagiati e con la crescente paura di numeri in esponenziale evoluzione, Lombardia, Veneto e Piemonte vengono immediatamente tirate fuori dai giochi. 

Questi i fatti, queste le irrevocabili decisioni. Giuste se, come è ovvio e scontato che sia, si antepone il problema della sanità nazionale a quello delle passioni sportive. Il mondo dello sport non deve andare per conto proprio - ha affermato sempre Malagò ai microfoni di Sky prima di Roma-Lecce - Ci siamo adeguati e convinti che la valutazione per il momento sia quella giusta. Poi si può esser d'accordo o meno. Certo, che malumori e pareri discordanti si levino da folte schiere di popolazione è anche normale. Bronci che derivano inevitabilmente dal differente peso soggettivo che all'infezione da Coronavirus si attribuisce, specialmente in riferimento al mondo sportivo: c'è infatti chi, lasciandosi trascinare dai roboanti titoli degli ultimi giorni e molto spesso purtroppo dalle maledette fake news (nemmeno classificabili come giornalismo, ndr.) e confondendo la parola "paura" con "panico", ingigantisce quella che a detta di molti - tra questi anche esperti - è nulla più che una normale influenza, solo un po' più grave (non più note sono ormai le attenuanti del tasso di mortalità del 2% e il numero effettivo di pazienti guariti in regime di quarantena). Liquidiamo subito questa questione, troppo delicata per esser affrontata in questa sede. Torniamo a navigare in acque che più ci appartengono. Facciamolo con una semplice domanda: e adesso?

Proviamo soltanto a immaginare insieme: e se la diffusione del Covid-19 continuasse ancora per tanto tempo? E poi: anche nel caso in cui il virus rimanesse circoscritto nelle regioni attualmente prese di mira, sarebbe possibile recuperare tutte quante le partite a timor scampato? Ecco dunque qual è il nocciolo del problema. Soffermiamoci solo sul campionato di Serie A, perché quello più seguito a livello di pubblico. Certo, pensare che di qua alla fine del campionato Inter, Milan, Juventus, Torino, Atalanta ed Hellas Verona (almeno al momento solo queste) non possano più disputare gare in casa, rinviandole a data da destinarsi, è uno scenario non proprio rassicurante. C'è già chi paventa l'ipotesi che il Campionato possa definitivamente essere archiviato (i più drastici, forse). Dall'altra parte, invece, ci sono i risolutisti, coloro che trovano nell'idea di giocare a porte chiuse la soluzione definitiva. Su questo aspetto, proprio ieri, lo stesso Malagò ha espresso i propri dubbi affermando che sì, era una delle ipotesi sul tavolo, ma che qualche problematica si sarebbe presto sollevata. Quale, vi chiederete. Semplice: gli incassi dei club.

La Juventus, ad esempio, dovrebbe rinunciare a circa 4-5 milioni di euro per una partita di Champions League o per una finale di Coppa Italia. Idem l'Inter con l'Europa League e, in generale, tutte le squadre che fanno degli abbonamenti allo stadio il loro pane quotidiano. E non è ancora finita. Pensate al complesso, inestricabile e insondabile mondo del betting, o più semplicemente le scommesse - universalmente intese (dalla "schedina" del venerdì pomeriggio, alle formazioni degli accaniti fantallenatori). Insomma, se la previdenza e l'attenzione attuate nelle decisioni delle Istituzioni sono indiscutibili, un Mondo nel vero senso della parola - in qualsiasi altro ambito aldilà del semplice e banale sport - si ritrova inevitabilmente al momento della scossa, del cambiamento improvviso, dell'adattamento (temporaneo?) a nuove condizioni. Come finirà, lo scopriremo solo vivendo.